Fosco Giannini: intervento Direzione nazionale 6 marzo

DIREZIONE NAZIONALE PRC
VENERDI 6 MARZO
Intervento di Fosco Giannini

Vorrei innanzitutto rimarcare una questione di stile, relativa alla relazione introduttiva del compagno Ferrero, che condivido.

Nell’ultimo decennio abbiamo ascoltato lunghe e a volte pindariche relazioni introduttive, attraversate da grandi disquisizioni ma non sempre utili alla concretezza del dibattito e all’orientamento dei gruppi dirigenti. Raramente emergeva un interesse per la vita concreta del Partito, per i problemi ( politici, organizzativi, economici) delle Federazioni, dei Circoli, dei vari segmenti del Partito. Questo aspetto mi ha sempre colpito, come se vi fosse stato, da parte di relazionava una sorta di disamore verso la propria organizzazione.

Dico questo perché oggi, al contrario, sono rimasto positivamente colpito dal modo in cui il segretario si è accostato alle questioni pratiche ed organizzative dei Circoli e delle Federazioni, dai manifesti non utilizzati ai volantini, ai costi della politica che gravano sui militanti e sui Circoli: questioni apparentemente minori, ma in realtà di decisive per la vita interna della nostra organizzazione.

Credo che così si debba fare; credo che sia questo il modo di dirigere: essere vicini, non retoricamente ma concretamente, ai problemi delle nostre compagne/i che sui territori danno via l’anima, spesso con pochissime gratificazioni personali. Credo sia questo il modo migliore di “sentire” il proprio Partito ed essere dirigenti della propria comunità.

Vorrei qui affrontare, sinteticamente, tre questioni poste dalla relazione introduttiva.

1.Primo, la campagna di massa che deve partire in relazione alla crisi economica che sovraordina la fase e che incombe sui lavoratori, sui disoccupati, sui precari, sui pensionati, sugli immigrati e sulle giovani generazioni.davanti ai luoghi di lavoro, in tutto il Paese,su un testo che rivendichi redistribuzione del reddito, cassa integrazione allargata ecc. Mi pare un’ottima idea. Aggiungo solo una riflessione: perché la campagna abbia più forza, sia più penetrante e possa trasformarsi in una “ bandiera issata nella testa della gente” occorre sì basarsi su una serie di questioni sociali pregnanti, ma occorre soprattutto che si giunga a formulare e proporre (sintetizzare) il tutto in una parola d’ordine secca, immediatamente percepibile da milioni di lavoratori, una parola d’ordine mobilitante che giri tra le masse come se fosse la bandiera stessa del Partito. Una parola d’ordine che contenga in sé tutte le rivendicazioni ma che le racchiuda in uno slogan breve ed efficace.

Si potrebbe pensare ad una parola d’ordine che che chieda più tasse sulle grandi fortune e redistribuzione sui sempre più urgenti ammortizzatori sociali. Pensiamoci.

Credo inoltre che dobbiamo far diventare popolari parole d’ordine forti, di grande valore strategico e programmatico, che già il nostro Partito (anche attraverso il suo segretario) ha evidenziato: come la nazionalizzazione delle banche. Il contesto generale rende oggi tali parole d’ordine credibili, non velleitarie o meramente propagandistiche come sarebbero apparse prima del precipitare della crisi (sono i fatti materiali che creano i migliori presupposti per i salti di coscienza…).

2.Secondo, la questione della lista unitaria per le prossime elezioni europee.

Sono d’accordo con l’impostazione che, su questo punto delicato, viene dalla relazione. “ La lista unitaria – dice Ferrero – deve essere una lista comunista e anticapitalista”. E aggiunge : “Non dobbiamo avere timidezze nel presentarla come la lista dei comunisti, del PRC e del PdCI e delle altre forze comuniste, anticapitaliste e di movimento”. Concordo e non ho nulla da aggiungere per ciò che riguarda la natura sociale e politica della lista.

Ma il segretario chiede alla Direzione un contributo propositivo su come “ mettere in campo” la lista: come farla partire, con quali modalità. Credo, innanzitutto, che essa debba partire il più presto possibile e forse siamo già in ritardo. “ La Sinistra delle libertà” (una sconcertante imitazione del logo del vincitore…) di Vendola e compagni è già partita.

Evitiamo di ripercorrere gli errori fatti dall’Arcobaleno, una sigla laceratasi e perdutasi negli alambicchi politicisti, che mai giunse (al di là del merito) al benché minimo rapporto di massa, che mai fu minimamente popolare.

Occorre al più presto incontrarsi ( nei prossimi giorni) con tutti i nostri interlocutori e con essi stringere sul simbolo ( non c’è dubbio: una falce e martello che, “partendo dal simbolo del PRC”, divenga quello – comunista – di tutta la lista, un simbolo non astratto e non avulso dalla memoria comunista e del lavoro).

Occorrerà, poi, in poco tempo, lanciare la lista attraverso una grande manifestazione popolare a Roma alla quale seguano grandi manifestazioni nelle metropoli e in tutte le città e i paesi dove c’è una presenza, facendo sì che i nuclei organizzati più forti si facciano carico anche delle località dove siamo più deboli o assenti.

Occorrerà che “la lista” (nome e simbolo) si fonda subito ( unendo tutti i suoi soggetti) nelle lotte sociali che ci aspettano, davanti alle fabbriche, ai luoghi di lavoro, nei quartieri più poveri delle metropoli, nei quartieri degli immigrati, davanti al Senato e alla Camera, a contestare il Decreto Legge sulle ronde, le limitazioni al diritto di sciopero, lo svuotamento del testamento biologico, l’attacco alle pensioni delle donne, le spese militari e la presenza dell’Italia in scenari di guerra, e altro ancora.

Occorrerà che “la lista” viva a Vicenza, a Sigonella, contro il G8, a fianco delle lotte della CGIL e dei sindacati di base.; che si radichi socialmente e che attorno ad essa si riesca a costruire una passione popolare e militante.

Il tempo non è molto; un po’ lo abbiamo bruciato. Non possiamo sprecarne altro, rischiando la fine dell’Arcobaleno e la freddezza e il distacco della nostra gente, dei militanti comunisti e della sinistra che lotta per un’alternativa. C’è da recuperare, con la lotta, la fiducia di chi ancora va a votare e di quella grande diaspora comunista e antagonista che – in tanta parte – non vota più da tempo.

3.Terza ed ultima questione: è stato posto nella relazione il tema del PD e del rapporto politico che dobbiamo tenere con questo partito, specie negli Enti Locali.

Diciamolo subito: il PD, oggi, non può in nessun modo essere considerato un soggetto politico o un partner per l’alternativa e la trasformazione sociale. Ben altro è il compito di fase dei comunisti: mettersi alla testa di un nuovo ciclo di lotte volto al cambiamento dei rapporti di forza sociali e politici, oggi sfacciatamente e pericolosamente favorevoli al padronato e ai suoi referenti politici di destra, di centro e di centro-sinistra (tra cui il PD).

Questo assunto, naturalmente, non si basa solo sull’analisi del PD oggi; si basa sulla lettura della fase, che ci mette di fronte ad un capitalismo – allo stato delle cose – contrario a compromessi strutturali con il lavoro ed anche a politiche significativamente redistributive. Da questo punto di vista il PD non è per noi un partner affidabile, nemmeno per quanto riguarda una politica “socialdemocratica” nella sua storica e migliore accezione.

Tuttavia io non credo che nella dialettica politica ( e per gli interessi concreti dei lavoratori e del popolo) possano avere senso compiuto e razionale, gli “assoluti naturali”, i diktat dogmatici e astratti, secondo cui (ad esempio) con questo PD non sarebbe possibile per principio nessun accordo programmatico in nessun Ente locale,

Se in una città o in un comune il compromesso programmatico che si strappa allontana le destre e produce una politica sociale più avanzata, essa va negato a priori o verificato?

La stessa battaglia, sociale e istituzionale, per l’applicazione di alcuni punti avanzati di un accordo, durante la vita stessa di una amministrazione, non sono anch’essi passaggi che radicano tra le masse il nostro partito?

Certo, occorre cancellare per sempre le derive istituzionaliste che fanno ripiegare i comunisti (inchiodandoli alle poltrone) all’interno di Giunte impopolari, corrotte e prive di ogni credibilità(come in Calabria, come a Napoli, dove avremmo già dovuto uscire: che cosa aspettiamo? Perché?).

Il problema è tutto nostro. Dobbiamo saperci battere per strappare programmi avanzati ( e se non ce la facciamo, nelle Giunte non ci si entra e se non possiamo più difenderli se ne esce subito !) . Ma quella battaglia avrà pagato comunque, rispetto al consenso dei cittadini, assai più di una sorta di “purezza aventiniana”.

Sappiamo che è ben difficile strappare politiche sociali al PD, e di ciò dobbiamo tenerne conto (anche se il PD stesso ha bisogno di recuperare un consenso nella sua base popolare, pena il tracollo…). E non si tratta nemmeno di un problema di sigle: potremmo trovarci a governare anche in coalizioni nominalisticamente “più a sinistra”, ma se le cose non vanno (nella percezione popolare e dei nostri riferimenti sociali), occorrerebbe comunque battersi ed eventualmente “rompere” ogni patto scellerato. Con qualsiasi alleato, non solo col PD.