In occasione dello sciopero generale del 12 dicembre, è stato presentato nella redazione del settimanale “Rinascita della sinistra” il numero in uscita l’11 dicembre contenente uno speciale sulla crisi. Ed è stato organizzato un forum con Oliviero Diliberto (Pdci), Piero Bernocchi (Cobas), Giorgio Cremaschi (Fiom-Cgil), Rossano Rossi (Cgil-Lavoro e Società), Fabrizio Tomaselli (Sdl) per discutere sulle misure del governo e sulla prospettiva delle forze politiche e sindacali della sinistra.
Piero Bernocchi, leader dei Cobas, ha ricordato che con lo sciopero del 17 ottobre i sindacati di base hanno aperto un percorso di lotta che è continuato con mobilitazioni su tutto il territorio e che si è incrociato con le iniziative della Cgil. Proclamare, di nuovo, lo sciopero generale, e questa volta in concomitanza con la Cgil, nonostante piattaforme e cortei diversi, è stata una scelta importante perché l’ipotesi di una «alleanza anticapitalistica» con strutture politiche e sindacali è oggi più che necessaria per il Paese. Bernocchi parla di un fronte unitario di lotta che deve trovare «una forma di consultazione comune», capace di gestire sia le mobilitazioni condivise che le iniziative specifiche, che devono diversificarsi senza entrare mai in conflitto. Riguardo la Cgil, quella che rischia di prospettarsi è più una svolta politicista che ripeta la storia del 2003, in cui Cofferati ha riaperto alla concertazione con governo e Confindustria.
Rossano Rossi, di Cgil Lavoro e Società, punta l’accento sul carattere democratico che ha assunto la crisi. Una crisi che investe tutti i settori a cui bisogna prestare un’attenzione particolare: «Che a pagare non siano sempre soliti», ovvero i lavoratori, perché sul piatto ci sono i loro interessi, i loro diritti e loro tutele messe e rimesse in discussione e sotto attacco costante da ormai 15 anni. Per questo lo sciopero del 12 dicembre è un primo passo per svelare le contraddizioni, aprire a nuove sinergie tra tutti i soggetti e deve servire a pensare ad un disegno politico forte che riesca a dare, finalmente, una rappresentanza politica forte agli interessi dei lavoratori. Rappresentanza che solo i comunisti, uniti, possono candidarsi ad essere. «Comunque – sottolinea Rossi -, al di là del percorso anche altalenante con cui si è arrivati alla proclamazione dello sciopero, e con tutte le critiche che non ho mai risparmiato alla Cgil, non avendo alcun problema a rapportarmi col sindacalismo di base, continuo a pensare che la Cgil sia lo strumento migliore per la difesa dei lavoratori».
Della questione della democrazia sindacale parla Cremaschi, della Fiom-Cgil, perché rappresenta uno degli snodi su cui costruire al più presto iniziative e mobilitazione, se non una vera e propria campagna. Il che significa permettere ai lavoratori di scegliere i propri rappresentanti, senza i garantismi a priori di una rappresentanza solo presunta e assegnata, e di votare gli accordi e persino le piattaforme. I rapporti sindacali devono potersi misurare sulla rappresentanza reale, perché è lì che si gioca oggi la partita di un «bipolarismo sindacale che vede, da una parte, il fronte antagonista e, dall’altra, quello moderato». La fase di crisi riguarda l’economia reale, che negli ultimi decenni ha fatto ricorso agli strumenti finanziari, in funzione di grandi ammortizzatori globali, e ad una politica di bassi salari e di competitività estrema. Ad essere andata in crisi è l’economia reale globalizzata, perché non garantisce più crescita e profitti. E questa fase rappresenta un’opportunità per le aziende che possono finalmente selezionare «una classe operaia eletta, iperflessibile, ipercompetitiva ed ipersfruttata». E al sindacato non viene assegnato più un ruolo concertativo ma gli viene chiesto dai padroni di governare la conflittualità, di amministrare il mercato del lavoro, di agevolare i processi di ristrutturazione. Lo sciopero del 12 dicembre è un appuntamento importante ma difficile per la Cgil, perché su di esso pesa la crisi e la rottura con Cisl e Uil ma anche la mancanza di una sinistra che faccia da sponda politica, come rappresentanza del mondo del lavoro nelle istituzioni. È in questo quadro che diviene determinante il rapporto tra sindacalismo di base e sinistra Cgil, che devono riconoscersi reciprocamente e misurarsi sulla rappresentatività.
Nell’analisi di Fabrizio Tomaselli, coordinatore nazionale SdL intercategoriale, ogni volta che i margini di profitto si riducono si apre una crisi e il capitalismo si ristruttura per ricreare nel medio periodo quei profitti persi negli anni. In questa realtà si inserisce la crisi profonda che la sinistra sta vivendo, non solo in Italia. «La sinistra deve ripartire dalla centralità del lavoro» perché, sostiene, «negli ultimi 10 anni ha rincorso di tutto e il lavoro è diventata un’articolazione della sua azione politica» perdendo il ruolo di fulcro. E per questo racconta di come il sindacato di sinistra sia oggetto di richieste, da parte dei lavoratori, che non sono solo sindacali, perché in esso cercano ciò che non trovano più nella politica: «Il sindacato di sinistra non può essere contemporaneamente partito e sindacato, ma ha bisogno del partito di sinistra». Non risparmia anche una dura critica ai sindacati confederali, in una realtà politica e industriale che insegue l’uscita dalla crisi attraverso l’azzeramento dei diritti dei lavoratori, Alitalia docet, «la difesa degli apparati sindacali spesso diventa preminente rispetto a chi bisognerebbe difendere».
Al termine del dibattito prende la parola il segretario nazionale dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto: «La crisi non è solo finanziaria ma anche energetica ed alimentare a livello mondiale». E in questo scenario si innesta la crisi italiana, con una sua specificità, dettata da un contesto produttivo obsoleto. Scenario pesantemente aggravato dal governo Berlusconi, «che opera sistematicamente la lotta di classe quotidiana dei padroni ai danni dei lavoratori» agevolato dalla «totale inadeguatezza dell’opposizione parlamentare». In questa situazione «nessuno parla a quelli che verranno colpiti dalla crisi e la sinistra non c’è» perché dopo la disfatta di aprile «ci siamo tutti ripiegati su noi stessi». Allora è indispensabile un nuovo inizio, afferma Diliberto, «bisogna ripartire dalla contraddizione capitale-lavoro» e lo devono fare i comunisti uniti. «Ci sono le condizioni per un’unica lista comunista, anticapitalista alle elezioni europee» perché, ci tiene a sottolineare il leader del Pdci, «è un’esigenza politica, non un escamotage tecnico-elettorale».
Un’anticipazione del dibattito, che verrà interamente nel numero appena uscito del settimanale “Rinascita della sinistra”.