Fortini, Pasolini e Volponi non ci sono più

Ma davvero Eco, Tabucchi, Loy, Camilleri avrebbero dovuto prender posizione sul collateralismo DS-cooperative, come chiede Cordelli? E perché solo loro? E Nove? E i fratelli Taviani? E Giordana? E Pomodoro? E Vattimo? Avrebbe spazio la stampa per tutte le loro dichiarazioni? E inoltre: perché solo sul collateralismo fra politica e cooperative? E sulla riforma elettorale? O sull’esito del referendum sulla fecondazione assistita? O, per restare in tema, sulla questione Fazio? Anche su di essa quasi tutti sono stati zitti per mesi, no? E ve lo immaginate se, invece, avessero parlato, tutti insieme, su tutte queste singole questioni di cronaca?
A veder bene, nemmeno Pasolini interveniva sulla cronaca, ma sui grandi nodi storico-culturali (la TV, la scuola, l’aborto, il palazzo del potere, la “rivoluzione antropologica” degli italiani, il neocapitalismo, il ruolo della Dc), complessivamente interpretati alla luce di una sua visione del mondo.

Il problema non è che gli intellettuali tacciono sulla cronaca politica; ma che non sono più in grado di leggere culturalmente la cronaca politica, cioè di interpretarla sulla base di originali categorie storiche, sociologiche o filosofiche.

Che un intellettuale ci dica la sua opinione sul collateralismo DS-cooperative di per sé non è rilevante; è un’opinione come un’altra e non si capisce perché dovrebbe esserle attribuito un particolare significato. Il suo è un “discorso da bar” (come quello di Cordelli, d’altronde). Cessa di essere un “discorso da bar” solo quando si inserisce in una ricerca artistica (o filosofica o sociologica ecc.) originale che attraversa appunto quel problema. Pasolini o Volponi o Fortini potevano dire la loro sul capitalismo italiano perché da anni ne studiavano le conseguenze sul piano umano rappresentandole nei loro romanzi, nelle loro poesie o nei loro films. Ma che Eco o Tabucchi intervengano in modo estemporaneo sul collateralismo dei DS quando in realtà sono sempre stati estranei – nella loro ricerca letteraria – alla storia profonda del movimento operaio italiano, che utilità può avere? A chi può servire? Dal punto di vista propagandistico servirebbe di più una dichiarazione di Totti o della Ferilli. D’altronde – a quanto ci è possibile sapere dalla loro opere – nessuno dei quattro autori invocati da Cordelli ha una visione generale della vita e della società italiana in cui il legame affari-politica e gli sviluppi del capitalismo italiano dagli anni ottanta del Novecento a oggi abbiano un qualche ruolo di rilievo.

Ma il problema, di nuovo, non riguarda loro quattro e i numerosi altri che potrebbero essere aggiunti; riguarda l’intero ceto intellettuale che dalla seconda metà degli anni Settanta a oggi non ha più la capacità di elaborare categorie storico-sociologiche capaci di comprendere la realtà economica, politica e sociale del nostro paese. L’onda lunga del pensiero debole – con il suo disprezzo per la “chiacchiera” dell’impegno, il ripiegamento sui miti fondativi e sul tema dell’origine e del linguaggio, il riflusso sulla angelologia, la celebrazione dell’irrazionalità, la cancellazione della contraddizione e della dialettica a favore della “differenza” – si è ritirata sì da tempo, ma lasciando in terra una torbida schiuma limacciosa che ha sinora impedito la costituzione di una nuova visione del mondo capace di confrontarsi criticamente con la realtà storica del nostro tempo. Se i nostri scrittori (non tutti, ma quasi) non sono in grado di confrontarsi con il presente nei loro romanzi, perché poi dovrebbero farlo rilasciando interviste o dichiarazioni sulla cronaca politica contingente?

Bourdieu ci ricorda che gli intellettuali si sono affermati come tali quando (soprattutto con l’affaire Dreyfus, ma probabilmente anche prima), quando, superando l’alternativa obbligata fra autonomia e impegno, sono intervenuti direttamente nella sfera politica proprio in quanto intellettuali, forti cioè della loro autonomia e delle loro competenze. Si possono avere dubbi sul concetto di autonomia di campo professata da Bourdieu (io li ho), ma certo Bourdieu ha ragione quando osserva che la loro autorità era legata al rigore della loro ricerca in quanto artisti e, aggiungei, al nesso che tale rigore postulava con competenze complessive di carattere storico-sociologico o storico-filosofico. Insomma Pasolini, Volponi, Fortini potevano avere una voce autorevole nella società civile, perché le loro opere artistiche lo avevano già conquistato proprio su questo campo. Ma un Eco che scrive Baudolino o un Tabucchi che scrive Tristano perché dovrebbero interessarci quando eventualmente ci parlassero del collateralismo DS-cooperative?