Forcaioli di tutt’Italia unitevi

I numeri dicono poco, l’amnistia è stata sepolta dalla camera dei deputati con appena quindici voti di differenza e otto voti di scarto su un emendamento soppressivo per il quale valeva la maggioranza semplice: 206 sì (alla soppressione) e 191 no. Ma non c’è nulla di casuale, quello scarto minimo non deve ingannare. L’amnistia non sarebbe mai passata perché di voti, per portarla davvero a casa, ce ne sarebbero voluti ben 406, i due terzi dell’aula di Montecitorio come prevede la Costituzione. E non ci sarebbero mai stati, questo era chiaro da quando Ds e Margherita hanno annunciato il loro no all’amnistia, lo stesso no della Lega e di An. I sì di Forza Italia, Udc, Prc, Verdi, Rosa nel pugno e singoli parlamentari qua e là non sarebbero mai bastati. Dopo l’amnistia, reintrodotta dalla comissione giustizia della camera con voto a maggioranza semplice, è stato bocciato anche l’indulto, che era invece appoggiato dai moderati dell’Unione: sono state Forza Italia e l’Udc a impallinare il provvedimento che – per quanto insufficiente, anzi ai limiti del paradosso (non c’è solo l’emergenza dei 60 mila carcerati su 40 mila posti, anche quella degli otto milioni di processi penali pendenti e delle 160 mila prescrizioni all’anno sui quali un indulto non avrebbe alcuna influenza) – sarebbe andato a merito di Ds e Margherita. Infine è andato giù l’indulto ridotto, quasi all’unanimità perché sarebbe stata una buffonata. Nulla di fatto. Abbiamo scherzato o piuttosto hanno scherzato, hanno scherzato un’altra volta paralizzandosi l’uno con l’altro con i veti incrociati, che ora lasciano il posto alle accuse incrociate. Hanno scherzato come due anni fa quando il dibattito sull’amnistia era stato aperto dalla storica visita di Giovanni Paolo II a Montecitorio; come nel 2000 quando la maggioranza era di centrosinistra e i Ds e i loro alleati giustizialisti ebbero responsabilità ancora maggiori delle attuali. Pier Ferdinando Casini, pur dicendosi amareggiato, non mostra buon gusto nel sottolineare, come faceva ieri sera, di essere stato «facile profeta» nel prevedere questo risultato invitando, tra Natale e Capodanno, a non creare false aspettative nelle carceri. Dice le stesse cose persino il ministro della giustizia Roberto Castelli, l’ingegnere leghista delle carceri a quattro stelle. Da destra e da sinistra se la prendono con Marco Pannella: sarebbe stato lui ad illudere i detenuti.

«Se me lo aspettavo? Io non aspetto, io lotto», ha risposto il leader radicale ai giornalisti. Pannella attacca l’Unione: «Se credono di aver deluso i detenuti si sbagliano perché chi sta in carcere non si è mai illuso, sapevano benissimo che stavamo facendo una battaglia del possibile contro il probabile, che è la putrefazione di un sistema politico e dei suoi partiti, delle sue oligarchie. I delusi saranno i loro elettori e compagni che speravano non ci fosse un’Unione clerico-fascista di Bossi, La Russa, Violante e vari margheritini». Li ringrazia, se non altro, per non essersi nascosti dietro il voto segreto. «E’ stata una giornata amara per il parlamento, per il paese e soprattutto per la nostra giustizia», conclude Giuliano Pisapia (Prc). Alfredo Pecoraro Scanio (Verdi) parla di «bruttissima pagina». Oliviero Dilibero (Pdci) si dice «sgomento che Ds e Dl abbiano votato insieme ad An e la Lega contro l’amnistia». Chissà come faranno, se davvero vinceranno le elezioni, a governare insieme.