Folena: «Unipol, perché smettere di discutere?»

«Basta attacchi ai ds, dicono. Io vedo solo la voglia di emarginare la sinistra radicale»

Basta polemiche. Basta accuse ai vertici dei diesse per il loro comportamento nella vicenda Bnl. Da qualche giorno sembrano diventate le parola d’ordine di una parte della sinistra. Di un pezzo, quella che dovrebbe dar vita alla lista arcobaleno. L’ultima dichiarazione è di Diliberto, Pdci: «Con gli attacchi al principale partito d’opposizione si rischia il tafazzismo». Prima c’erano stati Cento dei verdi e giù giù fino a Boselli, Pannella. Pietro Folena, indipendente nel gruppo del Prc, è invece uno che sulla «questione morale» c’è andato giù duro. Ed è anche uno che i diesse li conosce bene.

Allora, Folena, basta attacchi ai diesse, dicono. Tu che ne pensi?

Che dobbiamo intenderci. Io non ho sentito nessuno, fortunatamente, che sostenga che i diesse rubino. Non ha senso, nè avrebbe senso: visto che non ci si allea con chi ruba. La replica, però, sia quella di Fassino che le difese d’ufficio degli altri, evitano il nodo vero della questione: il rapporto fra politica ed economia. E stupisce francamente che questo tema sia rimosso da chi si definisce di sinistra radicale.

In pillole, di che si tratta?

In Italia c’è un capitalismo avventuriero, speculativo, che lucra sulle rendite che è capace, lo abbiamo letto, di piegare una politica debole.

Una domanda che ti sarai sentito rivolgere tante volte in questi giorni: ma perché c’è un capitalismo buono?

Seguo la discussione che su questo tema si svolge su Liberazione. Io, socialdemocratico di sinistra, credo però che il capitalismo sia riformabile. Ma non è questo il punto: credo che comunque un’impresa produttiva consenta lo sviluppo di lotte sociali. La rendita no. In un sistema di imprese produttive si può progettare, lottare per redistribuire verso il lavoro risorse e potere. Con la rendita no. E attenzione: credo che sia esattamente questo il progetto di Berlusconi. Questo intendiamo quando parliamo di capitalismo malato in Italia. Capitalismo malato che è in grado di infettare anche la politica.

Un’analisi che i diesse non condividono.

Quando ad aprile uscii dal partito, scrissi una lettera a Fassino. Persona che stimo. Provandogli a spiegare che nei diesse s’era creato un partito nel partito. Attento, troppo attento, interessato, troppo interessato, ad un rapporto fra politica ed economia estraneo alla tradizione politica di Enrico Berlinguer.

Non sarà legittimo ma molti pensano che sia “normale” per un partito di sinistra difendere le coop.

Proprio perché socialdemocratico di sinistra continuo a pensare che l’obiettivo prioritario sia introdurre elementi di mutualismo nell’economia: penso alle banche etiche o al commercio equo e solidale. E qualcuno mi dovrebbe spiegare cosa c’è di mutualistico nella scalata alla Bnl. L’aspirazione ad un’altra economia, ad altri modi di gestire l’economia invece esiste, è assai diffusa fra i soci del mondo cooperativo. Sono due cose diverse. Prima dicevi che molti ritengono giusto che la sinistra difenda le cooperative, qualunque cosa facciano. Non sempre è stato così soprattutto quando le coop hanno smesso di essere tali…

A cosa ti riferisci?

Non credo di svelare chissachè. Ricordo però quando Occhetto era segretario del Pci e io segretario in Sicilia. Le coop, per ritagliarsi una fetta di mercato strinsero un patto con alcuni grandi Cavalieri del Lavoro. Alcuni in odore di mafia. Ricordo una drammatica riunione a Botteghe Oscure. Tesa, dura. Ma Occhetto pretese e ottenne che quel patto fosse sciolto. E ricordo quando chiuse l’Unità. La richiesta all’Unipol di partecipare al suo ritorno nelle edicole. Dissero di no, salvo poi ripensarci quando la svolta moderata nei diesse si affermò completamente.

Ma allora perché un pezzo della sinistra non diesse chiede di chiudere in fretta la discussione?

Questo dovresti chiederlo a loro. Io ho solo un’impressione…

Quale?

Ho la sensazione che ci sia un tentativo di costruire un vero e proprio argine verso tutto ciò che riguarda l’alterità nella politica. Ho la sensazione che si voglia costruire un muro: e di là relegare tutto ciò che dà fastidio. In questo caso Rifondazione. Ma lo stesso trattamento sarà riservato ai movimenti sociali, alle loro richieste di incidere nella discussione sul programma. C’è anche chi dice che questo, una volta fallito il progetto di lista arcobaleno, sia il prezzo da pagare per ottenere qualche seggio in più. Non sono di primo pelo, non mi scandalizza affatto se fosse vero. La cosa che mi spaventa è la voglia di esclusione della sinistra radicale. Una volta che si vincono le elezioni, che si fa? Ci si presenta con un proprio progetto autonomo di rifoma del capitalismo, con un proprio progetto di società o ci si limita a tifare per una cordata piuttosto che per un’altra? Ecco, questo è il vero problema.