Foibe, intervista a Pierpaolo Poggio, direttore della fondazione “Micheletti” di Brescia

Quale livello di attenzione, a suo giudizio, c’è stato in Italia intorno alla “Giornata della Memoria” del 27 gennaio scorso? Quanto è stato fatto negli ultimi tempi di effettivamente costruttivo per preservare concretamente la memoria e per contrastare i revisionismi tanto cari non solo alla destra, ma anche a una certa sinistra?

Non ho il panorama complessivo delle iniziative che sono state realizzate, ma ho l’impressione che ci siano due livelli tra loro molto distanti: da un lato vi è la rappresentazione pubblica dell’evento che, in primo luogo attraverso i mezzi di comunicazione (in sostanza la televisione ed una certa stampa), ripete da anni una litania retorica su cui è quasi imbarazzante esprimere dei commenti.
Dall’altro lato invece vi sono le realtà delle iniziative nelle scuole e nelle città. Si tratta di mille iniziative che in genere sono poco visibili o vengono dimenticate dal sistema della comunicazione. Rispetto a queste è utile esprimere un giudizio positivo, nonostante alcuni slittamenti che derivano dalla condizione di subalternità in cui ormai si trova chi intende mantenere viva la memoria e conoscere la storia di questi fatti decisivi del Novecento. Mi spiego: la scelta di privilegiare iniziative teatrali, film, musiche e spettacoli – senz’altro strumenti che possono funzionare bene con i ragazzi – mi sembra però un modo per aggirare i nodi più scomodi che invece andrebbero discussi, soprattutto nella sfera pubblica. Questa non è assolutamente una novità per il nostro paese, è qualcosa che ormai esiste da decenni.
Il nervo scoperto è sempre il ruolo dell’Italia. L’obiettivo è quello di oscurare il ruolo che l’Italia ha avuto nella Shoah: per altro la legge istitutiva della giornata della memoria fa riferimento, in modo sostanzialmente corretto, anche a fenomeni come la deportazione politica, ma ben poco viene fatto per quel che riguarda lo sterminio degli zingari, dei Rom, degli omosessuali: un intero mondo che viene escluso. Inoltre vengono spesso dimenticati i crimini nazisti e il ruolo svolto dalla Repubblica di Salò, spesso non solo di collaborazione con le truppe naziste, ma di iniziativa. Siamo lontanissimi dall’affrontare veramente questi temi. Credo che sia una situazione non esclusivamente italiana, ma certo l’Italia da questo punto di vista ha un primato.
Un altro tema che a mio avviso è molto importante è quello del confronto, tra storici e a livello pubblico visto che il dibattito storico-politico è sempre più circoscritto ad un terreno ideologico spicciolo, facendo sparire totalmente la dimensione sociale, culturale, economica della Seconda Guerra mondiale. E purtroppo ci sono intere pagine della storia che non attirano più l’attenzione e l’interesse degli storici, non solo dei mezzi di comunicazione.

Possiamo affermare che il revisionismo venga praticato ogni qualvolta si rifiuti un approccio storiografico serio, sistematico, scientifico?
Laddove, quindi, il furore ideologico prende il sopravvento sulla metodologia e la validità della ricostruzione storica…

Purtroppo è cosi. Ci sono state ricerche senz’altro molto valide sulla vicenda dei massacri dei civili nel periodo ’43 – ’45 e questa è un’acquisizione molto importante che va difesa e approfondita appunto contro i tentativi reiterati di cancellazione. Però, accanto a ciò, continenti interi rimangono inesplorati: chiedersi quale sia stata la posizione dell’Italia in quegli eventi, quale il ruolo degli operai e dei contadini, sembra non interessare più a nessuno. Non abbiamo ricerche su come si è mosso il potere economico nel contesto della Seconda Guerra Mondiale. Da questo punto di vista l’arretratezza è terribile rispetto alla realtà di altre storiografie. Ma la lotta politica è aperta: il revisionismo non ha affatto vinto sul piano della ricerca storica seria, però indubbiamente è riuscita a dilagare nei mezzi di comunicazione di massa.

L’obiettivo del revisionismo nostrano è sempre quello, quindi, di mantenere vivo il concetto degli “italiani brava gente”, senza dirette responsabilità in crimini, massacri e genocidi…

C’è stata una risposta di tipo nazionalista alle tendenze che al Nord sono tuttora abbastanza vivaci di separatismo di tipo etnico agitate dalla Lega, di cui si è fatto interprete anche il Presidente della Repubblica… Ma una risposta nazionalista non può essere il dettato attraverso cui si fa ricerca storica.

Le chiedo un commento sul riemergere di fenomeni fascisti e sull’azione di soggettività politiche che si richiamano alla destra fascista (Msi, Forza Nuova, etc…): tra l’altro, alcune di queste formazioni saranno alleate della Casa delle Libertà alle prossime elezioni politiche…

Da alcuni anni si sono rotte le dighe. Siamo ormai in un contesto globale in cui tante sono le manifestazioni di razzismo esplicito e di neonazismo che prima erano alquanto sotterranee: oggi non c’è più nessun ritegno. Io credo che tali forze politiche non siano importanti e pericolose in sé, ma per il fatto che forze ben più significative le considerino interlocutori “normali” e utili in determinati situazioni. Si tratta di una contiguità non del tutto nuova, ma che oggi assume forme becere.

Un futuro nuovo auspicabile governo di centro-sinistra cosa potrà e dovrà fare in merito?

Le culture politiche dei partiti progressisti devono avere il coraggio di fare del rapporto con la storia un elemento decisivo della loro azione. Se hanno paura del loro passato, è chiaro che non è più possibile fare delle battaglie per l’egemonia. Questo è il punto cruciale: sono troppi i soggetti politici che preferiscono contribuire alla cancellazione della memoria, anche quando si tratta della propria.