Alla fine, i metodi e i contenuti da “padrone di casa” usati dal segretario della Cgil Guglielmo Epifani, nei confronti dei dissidenti (Giorgio Cremaschi, la Fiom, Lavoro e Società, Rete 28 aprile, Dino Greco), che lo scorso 4 novembre hanno partecipato alla manifestazione contro la precarietà, non hanno trovato così tanti consensi. Il documento finale approvato dal parlamentino di Corso d’Italia è passato con 63 voti a favore su cento, ben al di sotto della maggioranza bulgara del quindicesimo congresso, celebrato lo scorso febbraio a Rimini. All’epoca, nel gruppone di maggioranza c’era anche Lavoro e Società, che ieri ha presentato un suo documento contrapposto. Insieme alle astensioni (a tutti e due i documenti) di Cremaschi, Rinaldini, Greco e altri l’opposizione alla segreteria, ad esclusione di Paola Agnello Modica, ha totalizzato il 35, 7%.
Ma non è solo nei numeri la “narrazione” della due giorni del direttivo nazionale della Cgil, bensì anche nello scontro tra Epifani e la Fiom. Un “primo scontro”, visto che per lunedì prossimo 27 novembre è in programma il Comitato centrale della Fiom.
Ieri, intanto, il segretario generale della Fiom è stato molto chiaro. «Non sono d’accordo con la relazione del segretario della Cgil», ha detto aprendo il suo intervento. Giorgio Cremaschi, che da Epifani è stato l’unico ad essere stato chiamato per nome e per cognome nella relazione d’apertura, non ci è andato certo leggero: «Esprimo il mio netto disaccordo con la relazione di Epifani», ha esordito.
La materia del contendere? Come al solito non è facile isolarla, tra personalismi, strumentalizzazioni, temi paralleli e alleanze trasversali. Ma questa volta si può riassumere così: di che cosa si deve occupare in questo momento il più grande sindacato d’Italia, di contenuti o di politica? I contenuti, la bella manifestazione del quattro novembre contro la precarietà. La politica, il fatto che in quella manifestazione ci sia stato qualcuno che ha sventolato uno striscionie anti-Damiano e distribuito volantini contro chi aveva ritirato la sua adesione. Tutto molto facile da strumentalizzare.
Molti i parlamentari di Rifondazione comunista, a partire dal capogruppo Gennaro Migliore, che hanno criticato il comportamento del segretario della Cgil.
La maggioranza congressuale della Cgil, alla fine, si è ricomposta su un ordine del giorno, in quattro punti, che affronta la vicenda dell’avviso sui call center. Il documento dà mandato alla segreteria nazionale di inviare una lettera alla Confindustria «auspicabilmente di carattere unitario», «che utilizzando i nuovi spazi contrattuali aperti dall’Avviso comune del 4 ottobre 2006», che quindi non viene smentito, sollevi quattro questioni: la «coerenza» tra gli accordi sindacali e, come nel caso Atesia, gli interventi degli uffici ispettivi; la «individuazione» effettiva del lavoro autonomo, che non dovrà avere «costi e diritti inferiori a quelli previsti dal contratto nazionale»; stabilizzazione verso il lavoro a tempo indeterminato; assistenza del sindacato verso quei precari che vorranno aprire una causa di lavoro nei confronti delle aziende.
In contrapposizione, è stato presentato un’altro documento che ha ricevuto sedici voti favorevoli. Questo testo, che ha come primo firmatario il segretario generale della Camera del lavoro Dino Greco, ha ricevuto i voti anche di Agustin Breda e Francesco Grondona, di solito più in sintonia con lo schieramento di Lavoro e Società, che invece ha votato in blocco a favore. «Non c’è chiarezza rispetto all’errore, tutto politico, della Cgil – sottolinea Breda – che firmando l’avviso comune è stata al di sotto della normativa esistente».