Fiom in cerca di Mezzogiorno

«Al bivio tra caduta e ripresa», sintetizza Fausto Durante, relatore d’apertura alla Conferenza nazionale per il mezzogiorno. Nel guardare la situazione industriale del Sud, dieci anni dopo la conferenza voluta da Claudio Sabattini, la Fiom non trova i toni sfumati che tanto piacciono a chi governa. Se è vero infatti che negli anni berlusconiani la politica industriale al sud era stata cancellata dall’agenda, non è che negli anni precedenti – con il governo dell’Ulivo – le cose fossero andate bene. Al punto che si può dire che le politiche «molecolari» tentate allora (contratti d’area, programmazione locale concertata, ecc) siano sostanzialmente fallite. Nemmeno la ripresa in atto ora diventa quaggiù occasione per ridurre il divario con il centronord. Anzi, la lista degli stabilmenti in crisi si allunga tutti i giorni. «Anni di sbornia neoliberista – sintetizza il segretario, Gianni Rinaldini – di piccolo è bello, di turismo e supermercati, di soldi che si molplicano con i soldi», in cui «fare i soldi» è diventato metro di misura del valore delle persone («se vìvi del tuo lavoro sei un coglione»), hanno creato una devastazione culturale.
L’argomento delle clientele è servito a ridurre gli investimenti al Sud; l’economista Emiliano Brancaccio si incarica di dimostrare che «la quota assorbita dalle clientele è fissa, riducendo i trasferimenti si riduce soltanto la parte utile». Nè si salva il «modello infrastrutturale» che a un certo punto sembrava la formula salvifica per un sud senza quasi più industrie ma trasformabile in un canale di passaggio per merci provenienti dai paesi emergenti e dirette in centroeuropa. Ammesso e non concesso che fosse un’idea apprezzabile, non è mai partita davvero.
E’ impossibile, comunque, spiega Rinaldini, ragionare sullo sviluppo del Sud senza vedere i processi globali che «stanno portando dentro il mercato miliardi di esseri umani». O ignorando che «l’elemento unificante delle varie politiche neoliberiste è l’aggressione alle condizioni del lavoro: salario, orario, diritti». Basta guardare il «libro verde» della Ue, «che va ben oltre la legge 30» e ridisegna il ruolo dello stesso sindacato come «un soggetto aziendale di mercato». E prefigura un’Europa «solo monetaria e di mercato, con una politica punitiva per il mondo del lavoro». Per questo il segretario annuncia una mozione della Fiom per la costruzione del sindacato europeo di categoria, «a partire dalla selezione dei dirigenti della Fem (Federazione europea metalmeccanici)».
I governi lamentano di «non aver più gli strumenti per incidere su processi di queste dimensioni», eppure – dice Rinaldini – «una politica industriale è necessaria se non si vuole diventare periferici». Visto che «il mercato si concentra là dove la produttività è già più alta» (leggi Germania, in parte Francia) e crea – più che eliminare – «i mezzogiorni del mondo». Proprio l’esperienza di Telecom, «di una gravità enorme», dimostra come le privatizzazioni abbiano prodotto risultati opposti a quelli dichiarati. «Com’è possibile che si sia passati da quando avevamo Olivetti ai vertici della tecnologia a una situazione in cui si rischia che non ci sia più nulla?».
Eppure la politica deve dimostrare di non avere soltanto «dei costi intollerabili», ma di saper fare qualcosa. La Fiom – che non è un «partito leggero» – avverte forse più dei partiti che lo scollamento tra società e rappresentanza sta «pericolosamente avvicinando i livelli di guardia, soprattutto tra i giovani».
Il nodo ineludibile «per affrontare la sfida del Sud» è dunque «l’intervento pubblico nello sviluppo industriale; non per rifare le partecipazioni statali», ovviamente, «ma come insieme di interventi», a partire dalle situazioni d’emergenza già ora sul tappeto.
Bersani era venuto qui il giorno prima a dire, tra l’altro, che «l’Italia è un paese industriale e vogliamo che resti tale». La «nota di ottimismo», Rinaldini l’affida proprio a un «vediamo cosa si fa, allora, per mantenere l’Italia nel novero dei paesi industrializzati». Bersani «scopra le carte». Ma in fretta. Perché al Sud «o si lavora contemporaneamente per la tenuta dell’occupazione e la tenuta della coesione civile», oppure le organizzazioni criminali avranno da offrire ai disperati sempre «qualcosa più dello stato».