Fiom, il giorno dopo: «Abbiamo vinto»

Il giorno dopo dei metalmeccanici è sereno. I «dati pressoché definitivi» illustrati dalla Fiom danno il 53% ai «no»; una dato che viene letto quasi come una «vittoria», visto che il tentativo di mandarli sotto mai come questa volta è stato esplicito, palese, annunciato. La maggioranza di no viene ammessa a denti stretti anche dalla Firn (ma solo al 50,6%), mentre solo la Uilm prova a dire che secondo loro sarebbero invece i sì a collocarsi al 52%. Una divergenza che la dice lunga sulle modalità di voto, sulla possibilità di riscontro; insomma, sulle stesse regole.
Nella conferenza stampa il segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini, evita accuratamente ogni accenno a possibili «brogli». A chi lo stuzzica risponde «non mi risulta», difendendo l’istituto del referendum tra i lavoratori e dando rilevanza al fatto che è la seconda volta che viene usato. Certo, tra i metalmeccanici lo si fa più spesso; e anche le «regole condivise» sono più chiare, le garanzie maggiori («definizione più precisa della platea dei vontanti e più strumenti di informazione per i lavoratori»). Si spiega anche così «le incongruenze» tra la consultazione che ha approvato la piattaforma contrattuale dei metalmeccanici (520mi-la votanti) e questa sul protocollo (601.309; comunque inferiori a quella del ’95, quando furono 730.000); é anche, fórse, quel che è accaduto in Lombardia, dove fino a una certa ora il «no» stava intorno al 57-58%, per poi precipitare al 52% e infine al 47,7% quando sono arrivati i numeri da «una serie di piccole fabbriche non sindacalizzate» (dove, cioè, non c’era mai stato un solo iscritto Firn, Fiom o Uilm), tutte con percentuali bulgare a favore del «sì». «Bene! – commentano i dirigenti Fiom ‘- Adesso sappiamo che esistono e possiamo andare a sindacalizzarle».
Rinaldini preferisce però soffermarsi sull’omogeneità dei dati. «Nelle grandi aziende, sopra i 1.000 dipendenti, non c’è differenza territoriale o generazionale. A Torino l’età media è alta, ma i no sono al 70%; a Pomiglia-no è di 28 anni, e i no arrivano al 90%». In Fincantieri – che si vuole collocare in borsa – i no viaggiano dal 70 al 96%. nel gruppo
Fiat si sta sempre sopra l’80. Anche a Termini Imerese, in contraddizione con una Sicilia dove il match finisce pari. Insomma: nelle grandi imprese, dove si sono fatte le assemblee (anche con i rappresentanti delle confederazioni), i lavoratori sono stati più informati, il no ha stravinto. Il giudizio è perciò «positivo e importante», perché «è evidente che c’erano molte aspettative per un voto di approvazione anche tra i metalmeccanici». Andate deluse. Naturalmente, si riconosce che l’esito complessivo della consultazione «conferma la firma dell’accordo», perché «la titolarità è delle confederazioni».
Ciò non toglie che ora si pone un serio problema alla Fiom e a tutta la Cgil. «Il disagio espresso da questo voto è alto, e non consiglierei a nessuno di dire che gli aumenti salariali sono da legare solo al recupero dell’inflazione programmata, viste le tensioni che esistono nei luoghi di lavoro». Il 22 e il 23 di questo mese si riunirà il direttivo della Cgil, «e mi auguro ci sia una discussione vera sul futuro della rappresentanza sindacale. Eviterei di usare questo voto per dire solo che è ‘superiore a quello del ’95’; come se il sindacato stesse oggi meglio di allora e ci fosse uno splendido rapporto con la gente». L’autoassoluzione, diciamo così, «sarebbe una posizione sciagurata», visto che, in fondo, anche i livelli dirigenti confederali «hanno potuto toccare con mano i problemi nelle assemblee». Un direttivo, oltretutto, che si svolgerà all’indomani della manifestazione del 20 ottobre contro la precarietà, cui lo stesso Rinaldini e molti dirigenti della Fiom parteciperanno «a titolo individuale; uno più uno più uno». Ma con la certezza di essere in tanti, perché «è contro la precarietà e non mi sembra che questo problema sia stato risolto con il protocollo»; e quindi «dire che è contro il sindacato è un sciocchezza autolesionista».
Ma nell’immediato ce anche la vertenza per il rinnovo del contratto. Con gli attivi territoriale e le assemblee che partono subito, insieme al blocco degli straordinari e 8 ore di sciopero da qui alla fine del mese (quattro solo nella giornata del 30, con manifestazioni ovunque). Sono i metalmeccanici, «il 50% dell’industria italiana». Quelli che quando votano stanno al merito. E solo allora, semmai, «dicono no».