«Fiom, a Mirafiori non minimizzare il dato»

Ad urne ancora aperte, c’è stata una lettura un po’ frettolosa dei risultati del voto a Mirafiori. Non ti sembra che si sia voluto forzare la mano?

La tesi, diffusa da alcuni settori delle altre organizzazioni sindacali e da settori della Cgil è che a perdere le elezioni è stata la Fiom massimalista. Una tesi non vera per un dato di fatto fondamentale, che questo arretramento arriva dopo i risultati di grande avanzamento che la Fiom ha avuto dappertutto, anche a Mirafiori, nelle elezioni del 2003. E’ bene ricordare quel periodo. E’ il periodo degli accordi separati, della Fiom che lotta e sciopera da sola; gli anni, per usare un certo linguaggio, del massimalismo estremo della Fiom. Bene, in quel periodo abbiamo avuto i migliori risultati elettorali degli ultimi anni da quando ci sono le Rsu. Mentre ora tutti questi risultati avvengono in aziende in cui siamo tornati a una pratica unitaria, ad accordi fatti insieme alle altre organizzazioni. Questo è il dato di fatto. Che naturalmente non vuol dire che dovremo tornare a quella situazione. La situazione è cambiata non c’è dubbio rispetto al 2003. Siamo entrati in un’altra fase. Resta il fatto che questi dati confrontati tra di loro smentiscono la tesi riformista sul massimalismo della Fiom.

Se paragonato a tutto il settore manifatturiero, il dato di Mirafiori non è così drammatico. La Fiom ha avuto risultati brillanti in tante altre parti…

Il dato non può essere minimizzato. C’è un arretramento vero e significativo, che tra l’altro non è solo a Mirafiori. La Fiom ha anche buoni risultati. In altre elezioni, come alla Fincantieri di Genova, abbiamo subito degli arretramenti significativi nel voto operaio. Minimizzare in questi casi non serve mai. Sono segnali veri sui quali è necessario assolutamente riflettere e discutere.

Ripeto, si rischia di dare troppa importanza a un fatto che tutto sommato riguarda numeri non di questa rilevanza.

Mirafiori è dove il sismografo si muove più velocemente, ma la scossa è abbastanza diffusa. Abbiamo una tendenza all’arretramento anche significativa degli operai manifatturieri, degli operai che fanno le produzioni più dure e faticose. Non avviene così dappertutto. Avanzamenti e risultati importanti è quello dell’Ansaldo energia dove abbiamo conquistato quasi il 70%. Una situazione a macchia di leopardo, però i segnali ci sono. Nessuno di noi può minimizzarli.

Quale è la tua valutazione sul voto?

Premesso che un voto sulle Rsu deve essere analizzato con un lavoro approfondito e con tante discussioni che coinvolgano i diretti interessati – solo da lì verrà l’analisi vera – ora mi sento solo di avanzare la mia esprienza. Primo, subiamo in generale un arretramento tra gli operai che stanno peggio, con i salari più bassi e le peggiori condizioni di lavoro. Ci sono casi significativi di nostro avanzamento tra gli impiegati. Questo significa, evidentemente, che noi veniamo penalizzati rispetto al tema di fondo del miglioramento della condizione di lavoro per chi sta peggio. I lavoratori ci votano di meno perché evidentemente danno un giudizio sulla nostra capacità di cambiare la loro condizione di lavoro. Questo segnale c’era già stato nella fase di conclusione del contratto nazionale. Il referendum sul contratto ha avuto una delle approvazioni più alte, quasi l’85%. Però quel 15% è fatto di operai delle produzione di massa che hanno votato contro. Una per tutte, Melfi. Da Fiat ad Electrolux, a tante altre aziende, dove stanno peggiorando velocemente le condizioni di lavoro.

Produizione di massa, prorio ciò che viene sempre rimosso…

Le imprese stanno uscendo dalla crisi. Chi ha chiuso ha chiuso. Ma chi resta tra le imprese decide di giocare fino in fondo la partita. E quindi chiede al lavoro di dare tutto. Tempi, turni, orari, straordinari. Abbiamo una offensiva enorme sulla produttività. E obiettivamente non siamo stati in grado di dare risposte. Siccome il lavoratore identifica nella Fiom il sindacato che dovrebbe dare queste risposte. Se esse non vengono, non ci vota.

Però, perché penalizzano solo voi?

Perdiamo voti in piccola parte verso sinistra, verso il sindacalismo di base; e in parte più consistente verso il sindacalsimo più moderato o addirittutra più aziendalistico. Per me il segnale è chiaro, se l’operaio percepisce che non è possibile una soluzione quale a volte noi proponiamo, si arrangia e sceglie di votare chi gli propone di adattarsi all’esistente. Ma non è che cambia modo di pensare, semplicemente resgistra con il voto un’impotenza e ce l’attribuisce. C’è un piccolo episodio significativo a riguarda che voglio citare. Proprio alle carrozzerie di Mirafiori, proprio in alcuni settori di quelle linee di montaggio dove abbiamo perso di più c’è stata una richiesta della Fiat di fare lo straodinario. Le Rsu erano disponbili, ma la Fiom è riuscita ad imporre di fare un referendum. Ebbene quegli stessi lavoratori che all’80% hanno votato i sindacati più moderati, all’80% hanno votato contro lo straordinario al sabato. A questo punto la Fiom ha proclamato lo sciopero dello straordinario e lo sciopero non è andato bene. Quindi nel giro di tre giorni gli stessi lavoratori hanno dato messaggi apparentemente contraddittori. Siamo di fronte a una evidente difficoltà a costruire una posizione. E naturalmente questo richiede una profonda riflessione sindacale. La verità è che i lavoratori ci pongono, al contrario di quello che pensano i riformisti, domande molto radicali. Ad esempio aumenti uguali per tutti, no alla flessibilità e così via. Poi però non siamo in grado di trasformare queste domande radicali in contrattazione. E quindi viene fuori la sfiducia che ci penalizza.

C’è chi ha puntato il dito sulle Rsu…

In una fabbrica in cui il lavoro viene parcelizzato possiamo avere rappresentanti sindacali che devono operare da soli di fronte a 500 lavoratori. Dobbiamo tornare a forme organizzate come i delegati di reparto. La linea dei padroni è quella di negare il sindacato in fabbrica. Loro vogliono “rappresentanti di mercato” disposti a scambiare in continuità la salvezza del posto di lavoro con il peggioramento delle condizioni di lavoro. Se non affrontiamo questi problemi con strumenti nuovi in grado di aderire all’organizzazione del lavoro, rischiamo di essere travolti. La Fiom non è un sindacato collaborativo. E non lo vuole diventare. Ma non basta proclamare i principi se poi la condizione di lavoro non cambia. E quindi, o trasferiamo i nostri principi nel vivo della condizione di lavoro e di contrattazione uscendo dal modello di questi anni o temo che il segnale di Mirafiori continuerà a ripetersi.

Il caso Mirafiori ha già preso la strada del sindacato confederale. Non è un po’ troppo?

Non abbiamo parlato dell’altra grande questione, del ruolo del sindacato confederale nella concertazione. Ma è chiaro, anche quel tema esiste. Ad esempio se nelle prossime settimane ci fosse una stangata su sanità e pensioni e il sindacato non reagisse con la dovuta forza so già cosa ci direbbero gli operai di Mirafiori: siete tutti uguali. Chissà perché quando un operaio dice “siete tutti uguali” vuol dire che sta criticando la Fiom.