Finisce l’era Bertinotti: svolta a sinistra per il PRC

Missione compiuta, si potrebbe dire. Paolo Ferrero, ex operaio metalmeccanico che proviene dalla sinistra postsessantottina di Democrazia Proletaria ed è stato ministro del Welfare durante il breve governo Prodi, ha battuto ieri, durante una votazione molto serrata finita 342 a 304, il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola ed è ora il nuovo segretario di Rifondazione Comunista con l’appoggio determinante della corrente leninista dell’Ernesto. Si chiude così con una spaccatura netta del partito ma con una parola di chiarezza sul piano politico e politico-culturale, la lunga stagione legata alla figura di Fausto Bertinotti, che aveva portato Rifondazione Comunista alla catastrofe elettorale del 12 e 13 aprile.

L’esito del VII congresso di Rifondazione è stato subito commentato in maniera molto negativa dal mondo politico italiano, da destra a sinistra (il PD in particolare), e da quasi tutti i giornali: Rifondazione – è la tesi prevalente, sostenuta da “Repubblica” e dal “Corriere” – aveva tentato con Bertinotti di rinnovarsi e ridefinirsi come una nuova sinistra moderna ed aperta al dialogo. Adesso, invece, è tornata sulle posizioni nostalgiche di un comunismo intransigente. La realtà è però più complessa e questa reazione del mondo politico e mediatico italiano dimostra, semmai, che le scelte di Rifondazione, indipendentemente da come esse siano maturate, non sono gradite ai centri del potere politico ed economico e costituiscono perciò una svolta a sinistra che può rappresentare una novità interessante e potenzialmente feconda.

Rifondazione era uscita distrutta dall’esperienza del governo Prodi. In due anni non aveva ottenuto nessun risultato politico significativo e aveva fortemente deluso i propri sostenitori, dilapidando un patrimonio di oltre due milioni e mezzo di voti. Alle elezioni dello scorso aprile si era presentata nel cartello “Sinistra Arcobaleno” (rinunciando al proprio nome e al simbolo della falce e martello) e aveva raggiunto appena il 3,2%, rimanendo tagliata fuori dal Parlamento. Immediatamente la maggioranza del partito – che sino ad allora aveva sempre sostenuto con ostinato fideismo il leader carismatico Fausto Bertinotti – si era spaccata a metà. A Vendola, che rappresentava la continuità con l’eredità di Bertinotti e si proponeva di sciogliere Rifondazione in un partito di sinistra radicale ma non comunista, si è subito contrapposto Ferrero che si è presentato allo scontro congressuale assumendo il profilo del difensore del partito e della sua identità.

In realtà, le differenze politiche tra Vendola e Ferrero erano molto minori di quanto l’asprezza del confronto congressuale lasciasse credere. Anche Ferrero, infatti, intendeva in sostanza ricollocare Rifondazione nell’ambito di una federazione della sinistra più ampia, sul modello della Izquierda Unida spagnola. Un contenitore nella quale la prospettiva comunista avrebbe inevitabilmente perso ogni autonomia, sebbene volesse giungere a questo risultato in tempi più lunghi e con modalità diverse rispetto a Vendola. Proprio per questa omogeneità politica (oltre che culturale), non pochi analisti avevano ipotizzato una probabile ricomposizione della vecchia coalizione bertinottiana subito dopo il congresso. Era la soluzione “di destra” apertamente auspicata sino all’ultimo minuto da Claudio Grassi, leader della corrente Essere Comunisti e alleato congressuale di Ferrero. Le cose sono andate però molto diversamente. Vendola non ha raggiunto la maggioranza assoluta fermandosi solo al 47,3% contro il 40,3% di Ferrero ma ha preteso lo stesso di essere eletto segretario, rifiutando ogni compromesso su un nome diverso e mantenendo ferma la proposta di una costituente di sinistra. A questo punto, i giochi si sono riaperti e le minoranze del partito sono diventate determinanti.

In particolare la corrente dell’Ernesto, che fa capo a Fosco Giannini e a Leonardo Masella e che rappresenta l’area leninista di Rifondazione comunista, ha saputo giocare un ruolo centrale. Nonostante la polarizzazione plebiscitaria del congresso attorno ai nomi di Ferrero e Vendola, l’Ernesto è riuscito ad ottenere il 7,7%% criticando con coerenza le scelte sbagliate compiute negli anni precedenti da Bertinotti, da Vendola ma anche dallo stesso Ferrero (la partecipazione al governo, la subalternità alla sinistra moderata ma soprattutto la progressiva decomunistizzazione del partito iniziata, con gravi responsabilità di Ferrero, già nel 1994). Su queste basi, l’Ernesto non è confluito nella mozione di Ferrero ma si è mantenuto autonomo indicando una chiara proposta di svolta a sinistra per il partito e di progressiva riunificazione dei comunisti in Italia. Nel momento in cui anche l’area Essere Comunisti si è spostata a sinistra, mettendo in minoranza la linea fino a quel momento sostenuta e rinunciando a riproporre l’alleanza tra le due mozioni maggioritarie, il quadro è cambiato in poche ore. L’appoggio dell’Ernesto (assieme a quello della piccola corrente trotkista di FalceMartello, al 3,2%) è diventato decisivo per far vincere Ferrero. Si è formata così una nuova maggioranza di coalizione, sulla base di un accordo programmatico in cui l’Ernesto ha segnato molti punti a proprio favore, raggiungendo la sintesi su un documento finale molto più avanzato e spostato a sinistra rispetto alla mozione Ferrero-Grassi e concludendo in maniera brillante un’operazione politica che sembrava all’inizio disperata.

Rifondazione rinuncia oggi ad ogni velleità di superamento della propria natura comunista, a lungo caldeggiato da Bertinotti e dal vecchio gruppo dirigente, e svolta decisamente a sinistra, puntando sul conflitto sociale, sulla ricomposizione del mondo del lavoro e sull’opposizione intransigente al governo Berlusconi per riconquistare il consenso dei propri ceti sociali di riferimento. Rifondazione abbandona inoltre l’ipotesi di un’alleanza strategica con il Partito Democratico di Walter Veltroni per presentarsi come una forza autonoma, alternativa e di classe. Infine, Rifondazione si dichiara pronta a lavorare per una ricomposizione delle forze anticapitaliste e in particolare di quelle comuniste, sia in Italia che in Europa, già a partire dalle prossime elezioni europee del 2009.

Il bilancio del VII congresso del PRC presenta ovviamente luci ed ombre. E’ estremamente positiva la chiusura dell’esperienza di Bertinotti e la svolta a sinistra del partito. Questo quadro diventa ancor più interessante se si considera che la presenza dell’Ernesto e di Essere Comunisti dà per la prima volta nella storia del PRC alla nuova maggioranza del partito un possibile orientamento di solida matrice gramsciana e leninista. Insieme, l’Ernesto e Essere Comunisti – che rappresentavano una sola corrente politico-culturale fino a pochi ani fa – costituiscono oggi l’area più forte e influente del PRC. Non mancano però anche forti elementi di preoccupazione, che non vanno sottovalutati. Si tratta infatti di una maggioranza fragile ed eterogenea (bisogna tener conto della cultura politica di Ferrero e della presenza della pattuglia trotzkista) che arriva a mala pena al 52%. Il partito è ora spaccato nettamente in due e l’area di Vendola è pronta alla scissione nel caso in cui non riesca a disarticolare la nuova maggioranza facendo leva sulle sue contraddizioni e a riprendere il comando del partito nei prossimi mesi.

La cosa più grave è stata però un’altra. Il VII congresso del PRC è stato del tutto privo di contenuti e, prima del colpo di scena finale, che ha ridato significato politico a tutta l’assise, si è svolto come una mera ridefinizione dei rapporti di forza interni e dei gruppi dirigenti. Un gioco al massacro che è degenerato più volte in rissa e che, soprattutto, non ha affrontato nessuno dei problemi reali posti sia dalla situazione politica nazionale ed internazionale che dalla grave crisi economica del Paese. L’esito del congresso, insomma, tiene ancora aperto uno spiraglio ma è chiaro che per i comunisti in Italia l’ora della ricostruzione vera e propria è rinviata e che la lunga transizione iniziata nel periodo 1989-91 non è affatto finita.