Fincantieri, secondo sciopero «per non morire»

Dopo la manifestazione del 2 aprile a Monfalcone, ieri si è fermato anche lo stabilimento Fincantieri di Marghera, con tutte le attività bloccate da uno sciopero articolato che è cominciato fin dall’ingresso del primo turno, alle 6 di mattina, mentre l’astensione dal lavoro per i turnisti è proseguita per tutta la giornata.
Alla protesta della Fiom-Cgil contro la privatizzazione del gruppo – che vedrebbe, secondo un piano industriale presentato dall’azienda e condiviso dal governo, la messa sul mercato del 49% delle azioni oggi in mano pubblica e la successiva quotazione in Borsa – hanno partecipato anche i lavoratori dell’indotto e delle ditte di appalto, i più precari tra i precari.
Un folto corteo è sfilato per il viale di fronte allo stabilimento distribuendo volantini che spiegavano le ragioni della manifestazione. Gli operai hanno sfilato con un grande striscione con su scritto: «Giù le mani dai cantieri. No alla privatizzazione. No alla Borsa».
Come abbiamo già scritto, le ragioni della mobilitazione indetta dalla Fiom-Cgil prendono avvio proprio dal piano industriale che vedrebbe la privatizzazione non tanto di un gruppo pubblico quanto di un intero settore, quello della cantieristica italiana, che a livello internazionale ha raggiunto livelli di eccellenza e in alcuni comparti come quello delle grandi navi da crociera ha la posizione di leader mondiale.
Come ha spiegato a “Liberazione” il coordinatore della cantieristica Sandro Bianchi, la messa sul mercato del 49% del capitale ordinario e la sua quotazione in Borsa determinerebbe da un lato il rischio si “spacchettizzazione” (volgarmente: spezzatino) e di delocalizzazione delle attività in altri cantieri dell’Europa dell’Est, e dall’altro la rinuncia da parte della mano pubblica delle azioni di controllo e di indirizzo sulle scelte strategiche per l’intero settore delle costruzioni navali, che in Italia vedono il lavoro di sei cantieri, tre per le grandi navi: a Monfalcone con 1.800 adddetti, Marghera con 1.250 e Sestri Ponente con 850; e tre per i traghetti: ad Ancona con 590 addetti, Castellammare di Stabia con 650 e Palermo con 500 unità impegnate anche in lavori di trasformazione e manutenzione. Inoltre, la Fincantieri ha anche un centro di progettazione a Genova, con 400 persone, e, nel settore militare, due cantieri navali a Riva Trigoso con 900 addetti e un importante reparto per la produzione di turbine a Muggiano (La Spezia) con 800 dipendenti.
Non solo, la specializzazione di Fincantieri le sta consentendo di acquisire importanti commesse civili per la costruzione di navi speciali: oceanografiche, diamantifere, rimorchiatori, eccetera. Tanto che, con 14 ordini in portafoglio, il gruppo ha oggi il 48% del mercato mondiale.
Perché allora cedere ai privati un “assett” che per le sue caratteristiche di produttività e reddititività deve rimanere in mano pubblica? Se lo sono chiesto ieri i lavoratori di Venezia che dicono: «Perdere tutto questo significa un altro pezzo della capacità industriale del Nordest e dell’Italia che se ne va».