Filosofia oggi, al di là del bene e del male

Diciamolo francamente: il panorama attuale della filosofia non è esaltante. Sono anni (c’è chi dice decenni) che non succede qualcosa di nuovo, o quantomeno che accadono pochissimi eventi memorabili. E il confronto con lo stato delle arti figurative e letterarie, con le scienze cosiddette “dure”, è tutto in perdita, e non da oggi. Il più delle volte la filosofia contemporanea reagisce a questo stato di cose con insofferenza, e si rinchiude in una sterile autoreferenzialità, o nella reiterazione di antinomie (analitici/continentali, logica/ontologia, libertà/tragicità), che un tempo avevano almeno la forza della battaglia culturale, e che oggi risuonano sapute, banali, in fondo rassicuranti.
In questa situazione, che collide clamorosamente con l’entusiasmo che la filosofia suscita nelle pubblica piazza (come dimostra il Festival di Filosofia di Modena) Roberta De Monticelli ha pubblicato un aureo libretto dal titolo modesto, Esercizi di pensiero per apprendisti filosofi (Bollati Boringhieri, pp.176, euro 9), che dovrebbe essere letto e meditato quantomeno da ogni studente come introduzione al pensiero filosofico, un po’ come ogni apprendista lettore di Platone dovrebbe leggere l’Eutifrone, uno dei punti di riferimento di De Monticelli, che ne esalta la dimostrazione di come l’etica o è laica o non è etica, sfuggendo alle trappole insite nel far dipendere il bene dal volere di Dio.

Una ventata d’aria fresca pervade questo libro, esemplare per metodo e capacità di tenere il lettore avvinto al punto: e dall’allieva di Dummett, studiosa di Frege e Husserl e traduttrice delle Confessioni di Agostino non c’era da aspettarsi di meno. Il libro è solo apparentemente diviso in due parti: una difesa della logica, attraverso un serrato confronto tra Heidegger e Frege, prelude a una disamina del tema del “tragico” del male nei testi di Dostoevskij e dei suoi principali interpreti, tra i quali ci sembra prevalere, secondo la sensibilità dell’autrice, Pareyson. De Monticelli ha da dirci, in sintesi, che la logica non è – come vorrebbero Heidegger e gli heideggeriani (compresa, purtroppo, Hannah Arendt) – una sorta di signoria o dittatura del modo logico di porre la questione dell’essere sul pensiero. Ovvero, non è affatto la riduzione della complessità del mondo alla scelta tecnico-funzionalistica che deresponsabilizza l’individuo, men che meno l’imposizione di un’unica, totalizzante modalità razionale di pensare: «La logica è preziosa perché ci insegna non di cosa parlare e di cosa no, ma come parlare perché le nostre proposizioni, di qualunque cosa parlino, abbiano la chance, la meravigliosa possibilità di essere false». Logica ed etica sono i due termini di una relazione che «non possono, almeno nella pienezza del loro essere, sussistere indipendentemente dalla relazione». La responsabilità etica insita nel fare un’asserzione che sarà comprovata o confutata dalla realtà, sta nel costruire l’affermazione «solo a condizione che noi li costruiamo in modo che abbiano ben definita la condizione di verità». Il che non implica l’abbandono delle “ragioni del cuore” o della poesia: citando il noto adagio shakespeariano, De Monticelli afferma che la logica ci aiuta a capire che ci sono più cose in cielo e in terra di quanto ne sappia la filosofia. Proprio conoscendo con esattezza i confini della ragione che argomenta io so, senza improprie confusioni, che oltre alla ragione ci sono altri domini dell’anima, ai quali si può assentire per fede, piuttosto che aderire per convincimento. La filosofia di Orazio proposta da de Monticelli è questa felice sintesi tra la consapevolezza dei limiti del pensiero logico-deduttivo e la responsabilità etica del parlare che la logica comporta: «Una cosa è aprire il pensiero filosofico al compito di pensare la vita; tutt’altra cosa è sostenere che si possa pensare la vita soltanto al prezzo di far violenza alla logica». Se questa violenza prevale, se bene e male, giusto e ingiusto si confondono, entriamo in una sorta di regno tragico in cui tutte le vacche sono oscure: è il tema del male, dell’interrogazione sul suo perché che pervade i romanzi di Dostoevskij e dal quale discende la riflessione contemporanea sul tragico. Secondo il pensiero nichilistico-tragico, se dio non c’è (o non ci fosse), ovvero se bene e male sono valori relativi, allora tutto sarebbe permesso: «Ma perché se dio non c’è le cose non dovrebbero avere qualità di valore, positive o negative?». In verità deresponsabilizzante è la fede nell’origine divina dei valori, il credo nel bene che è tale «perché dio lo vuole». A questo pensiero De Monticelli risponde ricordando quel fondamento dell’etica che consiste nella percezione della differenza tra il bene e il male: tragico non è che il male esista, ma che si sia dimenticata la differenza tra ciò che è lecito e ciò che non è lecito fare, anche se non ci fosse alcun dio. Sta all’uomo, alla sua responsabile indipendenza da un’autorità ultraterrena, farsene carico.