Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, lei ha voluto sottoporre al Parlamento un’idea di riforma generale per una società in crisi. È l’approccio con cui abbiamo scritto il programma dell’Unione, la ragione del nostro stare insieme. È la risposta alla forte domanda di cambiamento che ci affida, ma non ci delega la responsabilità di governare il paese per cinque anni.
Il programma che abbiamo condiviso traccia un’idea della cittadinanza che si sottrae a due derive opposte – quella del totalitarismo, che ne fa dei sudditi, e quella del mercato, che ne fa dei clienti – per tentare di contrapporre la via della comunità costruita a partire dalle libertà, un equilibrio delicato tra diritti e doveri, passioni e progetti.
In questi anni si è consumato un esperimento gigantesco di dissoluzione dell’idea di bene comune, dal conflitto di interessi alla devolution, dalla subordinazione servile in politica estera alla svendita dell’ambiente, alla spartizione privatistica delle risorse pubbliche, alla privatizzazione del sapere, alla precarizzazione della vita che rende subalterni: non solo un accumulo di ingiustizie, ma il tentativo di cancellare la democrazia.
La riforma costituzionale del centrodestra è, tra l’altro, il tentativo di espropriare i poteri del Parlamento per affidarli all’esecutivo e, in particolare, al premier. Una sola persona al comando: il contrario di quanto ha bisogno un paese in cui la crisi politica è anche crisi delle istituzioni. Per questo motivo, l’abrogheremo con il referendum di giugno.
Signor Presidente Prodi, lei ha fatto riferimento ai principi universali della nostra Costituzione, che vorremmo anche nella Costituzione europea: sono d’accordo. Ma perché i valori dell’uguaglianza e della libertà, della solidarietà e della pace prendano il sopravvento sulle logiche di mercato, che, invece, ispirano l’attuale Trattato costituzionale, è necessario che lo stesso possa essere riscritto con il contributo vero dei popoli europei e che ci si avvalga di quella partecipazione democratica che vorremmo segnasse il Governo dell’Unione in Italia.
Tra gli impegni complessivi richiamati in quest’aula vi sono due priorità che, a mio avviso, dovranno caratterizzare il nostro lavoro: la lotta alla precarietà e la lotta all’autoritarismo, al proibizionismo. Dunque, insieme alle condizioni materiali, dobbiamo cambiare la cultura politica del paese. La precarietà è il cuore delle politiche neoliberiste in Europa e nel mondo. Le lotte che attraversano ogni paese europeo e che la cosiddetta generazione Cpe ha fatto vincere in Francia sono l’espressione del loro fallimento. Precarietà sono i lavori umili, mal pagati, senza alcuna prospettiva di avere una casa, un’autonomia economica, una possibilità di scelta per i propri affetti o desiderio di avere figli. Precarietà è la vita di migliaia di migranti, clandestini o chiusi nei CPT. Lotta contro la precarietà è l’idea di una nuova cittadinanza contro ogni forma di esclusione, è l’idea di uno Stato non invasivo che non intende normare la tua vita privata, non pretende di dettare legge alle tante forme di affettività, di amore, di sessualità ma, al contrario, riconosce e garantisce a tutte ed a tutti il diritto di costruire una propria autonomia ed identità. Si tratta di uno Stato che certamente respinge le culture razziste di tante destre – e perciò cancelleremo la legge Bossi-Fini – ma che rifiuta, nel contempo, le logiche mercantili che selezionano gli stranieri sulla base della loro utilità al mercato o al benessere dei nativi.
La nostra politica dell’accoglienza è altro: è rispetto della persona, è dare valore alla vita ed alla dignità umana, alla volontà di abrogare le guerre, cancellare la fame e le povertà, le ingiustizie sociali che costringono milioni di persone a vagare per il mondo per sopravvivere; ma è anche riconoscimento del diritto di migrare, del valore dell’incontro, è la demistificazione del concetto di sicurezza fondato sulla militarizzazione delle nostre città e sulla criminalizzazione dell’immigrato. Scrive Bauman: le città sono diventate discariche di problemi generati a livello globale. Del tutto indifese contro il terremoto globale, le persone si attaccano a se stesse e, quanto più si attaccano a se stesse, tanto più tendono a diventare indifese e impotenti a decidere i significati e le identità locali e, dunque, anche i loro stessi significati e le loro stesse identità. Ma – aggiunge Bauman – la città è anche un fondamentale campo di addestramento in cui è possibile ricercare, sperimentare, imparare e adottare i mezzi per placare e dissipare quell’incertezza e quell’insicurezza.
È nella città che gli estranei che nello spazio globale si affrontano tra loro in veste di Stati ostili, civiltà nemiche o rivali militari si incontrano come singoli esseri umani, si osservano a distanza ravvicinata, si parlano, imparano reciproci usi, negoziano le regole di vita in comune, collaborano e, prima o poi, si abituano all’altrui presenza e sempre più spesso traggono piacere dalla reciproca compagnia.
Ecco, dunque, che il nostro programma, che propone vere politiche di accoglienza e parla di superamento dei CPT, non è il libro dei sogni, è semplicemente la convinzione che, se è vero che in un paese civile il carcere deve essere l’ultima ratio quale pena per chi commette un reato, tanto più è necessario eliminare ogni forma di limitazione della libertà in forza del mero provvedimento amministrativo. Il Presidente Prodi ha fatto riferimento al carcere ed alle insostenibili condizioni di vita di migliaia di persone. Un provvedimento di amnistia e di indulto è ormai ineludibile, ne va della credibilità delle istituzioni: tocca al Parlamento definire i criteri, ma è evidente che dovrà rappresentare un presupposto per modificare in maniera sostanziale il rapporto tra carcere e società. Si tratta di un provvedimento necessario per non far fallire la riforma del codice penale prevista dal programma e per indirizzare efficacemente le risorse finanziarie al recupero ed al reinserimento sociale del detenuto, come prevede la Carta costituzionale.
Tuttavia, se è necessario modificare la concezione della pena, lavorare per un diritto penale minimo e mite, è altresì necessario affermare una cultura antiproibizionista, offrire a tutte ed a tutti una possibilità di scelta in ogni ambito della vita basata sulla conoscenza e sull’opportunità. Ciò vale anche per questioni delicate come quella della droga: in attesa di produrre un percorso democratico che porti a politiche di riduzione del danno e depenalizzazione, è urgente cancellare la legge Fini, che già miete le sue vittime tra ragazzi colti a fumare uno spinello.
Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, finalmente sui giornali e nel Parlamento è entrata con forza la questione della presenza femminile nel Governo e nelle istituzioni. È un problema di grave deficit di qualità della democrazia e della politica, anche se non esaurisce in questo il problema della rappresentanza. Non serve palleggiarsi le responsabilità tra partiti e Presidente del Consiglio; è tempo di affrontare la questione anche sul piano legislativo, ma è necessario andare oltre: se in famiglia gli uomini – tutti – sono ben felici di affidare alle donne la gestione dell’economia domestica, vi è da chiedersi perché, anche in questo nuovo Governo dell’Unione, le donne sono poche e senza portafoglio. È indubbio che il tema rimanda al conflitto sul potere, all’attaccamento al potere come tale; ma se possiamo dire che non vi sia – o non vi sia ancora – un corrispettivo attaccamento al femminile, ciò si deve all’esperienza del movimento femminista, alle pratiche di relazione e di riflessione tra donne.
È un tema, quello del potere, su cui non si è mai riflettuto abbastanza. Noi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, che abbiamo attraversato le strade del mondo con e nel movimento altermondialista, e che abbiamo accettato – abbiamo deciso di accettare – la sfida del governo del paese proprio nel tentativo di rendere efficaci le lotte del movimento, ora vorremmo proporre a tutte e a tutti di provare a considerare il Governo non il fine, ma uno strumento per conseguire risultati, per dare risposta a un lungo cammino di domande di cittadinanza, di diritti di eguaglianza non formale, proveniente da generazioni e da forme di autorganizzazione diverse. Conflitti diretti che producono e hanno prodotto, in questi anni, spazio politico e che devono entrare nel dizionario della politica.
Le rivolte giovanili di questi anni pongono domande che vanno al di là delle condizioni materiali e riguardano il rapporto tra governanti e governati, cioè la democrazia. Perciò, ci interessano e ci riguardano, perché per noi l’uguaglianza è l’unificazione dei diritti nel rispetto delle differenze; la fraternità sta insieme alla sorellanza; per noi, libertà è libertà dai bisogni, è libertà di scelta nella vita privata come in quella pubblica. Perciò, anche dal Governo, vogliamo provare a conquistare tanti spazi pubblici, un grande spazio pubblico europeo in cui far vivere l’autonomia dei movimenti sociali e percorsi di partecipazione diretta; per far vivere in Italia e in Europa una nuova stagione dei diritti e far vincere la cultura delle libertà. Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e dei Verdi).