FIAT: un piano pubblico, occasione per il rilancio

Alla vigilia delle vacanze feriali di questo anno, gli Enti Locali piemontesi (Città di Torino, Provincia e Regione) hanno lanciato la proposta di un progetto pubblico finalizzato al mantenimento produttivo dello stabilimento torinese della Fiat Mirafiori.
Semplificando molto, si può dire che si è di fronte, piuttosto che ad un piano di rilancio comune concertato tra pubblico e privato, ad una ipotesi di scambio tra gli Enti che governano il territorio (dunque i cittadini per il tramite dei propri eletti) e la proprietà industriale del Gruppo Fiat. Questa, in sintesi, la proposta: se Fiat Auto si impegna a portare la linea di prodotto della nuova Punto a Mirafiori, il Comune con gli altri Enti Locali e la stessa Fiat (per una quota più ridotta: tra il 10 ed il 30%, che prevede conferimento “in natura”) costituiranno una società che acquisirà dal Gruppo Fiat il terreno dove oggi sono insediati parte dello stabilimento e la mitica “Pista prova” di collaudo (dove si svolsero storiche assemblee oceaniche negli anni ’70).
Fiat Auto si limiterà a questo impegno (la “Nuova Punto” può traguardare al massimo, se incontrerà il gradimento dei potenziali acquirenti, ai prossimi cinque anni) che è sicuramente una boccata di ossigeno per uno stabilimento in difficoltà, per i lavoratori e le lavoratrici Fiat e del suo indotto componentistico, che da anni ormai subiscono una intensa cassa integrazione con reddito magrissimo (650 euro al mese). La nuova società mista pubblica-privata dovrebbe essere impegnata nella ricerca di base e nella formazione di progetti. Purtroppo però, a quanto è dato sapere, si è di fronte non ad un vero progetto industriale e culturale, bensì a un complesso disorganico di idee su come utilizzare le porzioni di terreno con l’insediamento di parti di Università, Politecnico e, forse, di qualche produttore di componenti. Da un lato si stenta a comprendere per quale progetto e con quali finalità produttive che guardino ad un rilancio dello stabilimento e del gruppo industriale nel suo insieme; dall’altro risulta evidente l’immediato risvolto economico dell’ipotesi: circa 100 milioni di euro (di questo si dice) passeranno dalle mani pubbliche al gruppo Fiat. Per essere utilizzati come? Il privato non ammette interferenza sul suo reddito.
Se tutto si limiterà a questo, l’accordo – che pure consentirà di “tirare un breve respiro” – sarà un pessimo affare per tutti i cittadini e per il rilancio dell’impresa Fiat, e sarà nuovamente un ottimo investimento finanziario per la sola famiglia Agnelli, ancora detentrice del pacchetto azionario di maggioranza relativa (una situazione, questa, che pare permarrà, con altre vesti, anche dopo la fatidica data della conversione dei crediti detenuti da banche in azioni Fiat).
Noi, compagne e compagni di Rifondazione comunista presenti negli Enti Locali torinesi, pensiamo che siamo di fronte a una eventualità esiziale per la capacità reddituale della Città e per la ricostruzione di opportunità di lavoro qualificato per uomini e donne di oggi e di domani. Ci chiediamo se il mondo imprenditoriale privato (locale e nazionale) disponga ancora di persone in grado di essere industriali veri e non semplici speculatori travestiti da manager. Dopo anni di denunce di questa situazione e dopo avere avanzato tante proposte, ci troviamo oggi di fronte ad un piccolo, timido embrione che ha ancora bisogno di formarsi. Perché esso si sviluppi occorre superare l’orizzonte di piccoli e immediati interessi provinciali e muoversi con un’idea progettuale di interesse e caratura nazionali.
Oggi noi possiamo orgogliosamente dire che quel poco di ossigeno che la nuova linea di produzione può portare alle lavoratrici e ai lavoratori di Torino origina dalla nostra idea, che ruota intorno alla consapevolezza della necessità dell’intervento della mano pubblica nell’impresa, e dalla tenace iniziativa condotta dal sindacato dei metalmeccanici. Ciò tuttavia non ci basta, non basta se non si vuole vivere solo una effimera stagione di illusioni.
Ci possiamo consentire di avanzare questa preoccupazione forti della nostra capacità di analisi e di proposta, maturata e cresciuta con l’osservazione e lo studio attento negli scorsi anni, quando – pur venendo accusati di essere inutili “cassandre” – abbiamo avuto la capacità e la costanza di essere critici e contemporaneamente di costruire ipotesi propositive.
Bisogna fare un passo più ambizioso, che abbia valore per l’insieme del gruppo Fiat italiano, da Torino a Termini Imerese. La produzione dell’auto italiana non si salva con una visione localistica di conservazione dell’esistente, aggiungendo qualche costoso “fiocco”, qualche correttivo rispetto alle intenzioni di un ridimensionamento produttivo che continua ad essere perseguito dalla proprietà del gruppo. Occorre che anche il governo nazionale sia chiamato in causa in ordine a una progettualità complessiva sul terreno della mobilità pubblica e individuale: sulle norme e le indicazioni che intende avanzare per la difesa dall’inquinamento dell’aria e del territorio e per la salvaguardia della salute di tutti; e sui mezzi atti a garantire la circolazione dei saperi (le idee, che non richiedono necessariamente spostamenti fisici), delle merci (che non necessariamente richiedono costose movimentazioni) e delle persone, che in questo modo di agitarsi sulle strade consumano troppo tempo incolonnati a rimuginare tensioni e rabbia invece che relazioni e proficue comunicazioni.
Va ripensata la mobilità e vanno riprogettati i mezzi che la consentono. Per fare un esempio, è come quando all’inizio del secolo si progettò il passaggio dal trasporto su carrozza a traino animale a quello ad autotrazione meccanica: l’automobile, il treno e le relative necessarie infrastrutture. È evidente che la ricerca e la sperimentazione di base in tale direzione non possono essere sostenute né dai soli Enti Locali (per quanto possano essere convinti da tale missione) né tanto meno dalla sola impresa che persegue, per potere vivere, un impegno del capitale a reddito certo in un tempo decisamente più breve. Per questo il governo nazionale non può essere esentato da un suo impegno diretto, naturalmente condizionato all’efficace perseguimento di obiettivi socialmente avanzati. Si tratta, in altri termini, di ridefinire l’orizzonte nel quale la nostra industria nazionale può non solo conservarsi, ma anche acquisire un ruolo di punta nel prossimo futuro, assieme al settore spaziale e delle nano e biotecnologie.
Guardare al futuro dunque, ad un futuro che riproponga la centralità della persona e dell’ambiente in cui si vive. Su questa ipotesi ha senso continuare a perseguire tenacemente il nostro progetto che parte dal mantenimento produttivo dello stabilimento torinese, attorno al quale definire la missione produttiva di emergenza (la linea della Punto) e un obiettivo intermedio (individuando subito il prossimo prodotto auto, con motore innovativo – a idrogeno? – e una nuova meccanica). Questo consente il mantenimento di uno stabilimento completo che continua e evolve l’esperienza sulla base della tradizione. Tutto ciò consente altresì di ripartire da un nucleo e di dar senso e missione a quegli insediamenti, che nel progetto indicato dagli Enti Locali torinesi rischiano di restare solo di contorno e che invece devono essere correlati alla produzione ed alla formazione. In questo quadro si tratta di impegnare la proprietà industriale su un futuro prodotto da costruire a Torino e nell’insieme degli stabilimenti del Paese, salvandoli dal rischio di restare puri luoghi di assemblaggio di componenti costruite e progettate altrove.
Questa nostra idea, questo nostro progetto, lo abbiamo reso pubblico nel convegno che abbiamo realizzato il 28 luglio 2005 a Torino. L’ascolto da parte dei mezzi di informazione e soprattutto degli attori che devono esserne protagonisti non ci è sembrato sufficientemente attento. Noi continueremo tuttavia il nostro lavoro di critica costruttiva e quindi continueremo a indicare anche le soluzioni che pensiamo più appropriate. In ogni caso oggi ci felicitiamo di questo nostro primo piccolo successo che vede arrivare la “Nuova Punto” in produzione a Torino, e speriamo – per non arrivare troppo tardi – di non dovere aspettare altri cinque anni prima che, nell’emergenza, qualcuno voglia cogliere anche il resto della nostra proposta.

Con il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà, continuo a rilanciare non solo un grido di allarme ma anche una proposta: la nostra! Ciao a tutti e tutte.

Torino, 16 agosto 2005

* Deputata di Rifondazione Comunista