Se la Fiat, da un lato, annuncia aumenti di produzione e potenziali nuove assunzioni, dall’altro ci sono stabilimenti che non se la passano affatto bene, e che fanno anch’essi parte dell’universo del Lingotto: ci riferiamo alle ditte fornitrici di componentistica, che continuano a soffrire in vari territori perché le produzioni sono state spesso riorganizzate, cambiando di sito in Italia o delocalizzate – verso il low cost – nei paesi dell’Est. Il caso-simbolo può essere quello della Cf Gomma, azienda che fornisce i tubi flessibili alla multinazionale dell’auto, e che da un anno e mezzo ha chiuso a Melfi, ma non per una crisi: ha ampliato infatti gli stabilimenti in Polonia e continua a rifornire il mercato italiano, anche attraverso diverse sedi nel nostro paese, come quelle di Settimo Torinese e di Brescia. Ma in 57 hanno perso il lavoro per la chiusura di Melfi, e solo una quindicina ha trovato un nuovo posto, mentre più di 40 operai restano tuttoggi in mobilità. Ma torneremo più avanti a Melfi. Il caso che fa parlare di più in questi giorni sono le centinaia di esuberi annunciati alla Ergom, azienda che opera in Campania, e il cui blocco, per ricasco, sta fermando da giorni i siti Fiat di Pomigliano e Termini.
Come spiega Enzo Masini, coordinatore nazionale auto della Fiom Cgil, «negli stabilimenti Fiat di Pomigliano d’Arco e Termini Imerese si è determinata un’emergenza: sono fermi rispettivamente da 10 e 5 giorni per effetto della vertenza Ergom». «I lavoratori della Ergom – continua Masini – sono in agitazione per ottenere garanzie sul proprio futuro a seguito dell’annunciata ristrutturazione, che porterebbe centinaia di licenziamenti nell’area napoletana». La Ergom fornisce le componenti in plastica delle auto, è specializzata in sistemi di iniezione e stampaggio: ieri, a un incontro che si è tenuto a Roma con i dirigenti del colosso automobilistico torinese, Fim, Fiom e Uilm hanno chiesto alla Fiat «un impegno affinché i lavoratori coinvolti nella ristrutturazione di un’azienda che lavora esclusivamente per la stessa Fiat siano garantiti processi di ricollocazione al lavoro». Il messaggio dei sindacati è semplice: non è che poiché si parla di indotto allora la Fiat può far finta di nulla. Al contrario, serve responsabilità a monte della filiera, apartire dal Lingotto.
A Palermo intanto cresce la preoccupazione e Roberto Mastrosimone, rappresentante Fiom di Termini, chiede che il gruppo Fiat intervenga immediatamente: «Quello che sta avvenendo è molto grave. E quello che preoccupa di più è il silenzio della Fiat: bisogna che intervenga subito per riportare a regime la produzione». Da Napoli e Marcianise, però, le Rsu della Ergom ci tengono a far sapere che il blocco non avviene per lo sciopero dei dipendenti, ma per una sorta di «serrata» aziendale: «I lavoratori Ergom – spiegano – tuttoggi non sono in sciopero, ma dalle 17 di mercoledì 28 marzo sono stati messi in libertà dalla direzione dell’azienda. Gli unici scioperi effettuati, un’ora per turno con il blocco degli straordinari, si sono svolti da lunedì 26 marzo a mercoledì 27 marzo, fino alla messa in libertà». Insomma, si rischia che per precise scelte aziendali si inneschi una battaglia tra i lavoratori dei diversi siti Fiat, di fatto senza colpe.
Tornando a Melfi, si deve segnalare il parziale fallimento dell’accordo sulla mobilità orizzontale firmato da sindacati e aziende dell’indotto – il consorzio Acm – all’indomani dei «gloriosi» 21 giorni del 2004. L’accordo avrebbe dovuto impegnare le aziende a ricollocare i lavoratori in uscita da altre imprese in chiusura. Ma mentre la Fiat Sata ha riassorbito 150 operai della Valeo, e la Lear circa 80 della ex Pianfei, al contrario la chiusura della Cf Gomma (57 lavoratori) e della Rejna (anche qui 57), ha prodotto un anno di cassa integrazione e, oggi, la mobilità per un centinaio di addetti – di fatto senza prospettive occupazionali e in partenza verso il Nord Italia – mentre sono riusciti a ricollocarsi nel complesso della Fiat potentina solo qualche decina, la gran parte a termine.