Ferrero e l’indigesta unità dei comunisti. Prc ancora prigioniera del bertinottismo?

Paolo Ferrero, segretario nazionale del Prc, sta boicottando il processo unitario che punta a ricomporre la diaspora dei due piccoli partiti comunisti? E ancora: il partito della Rifondazione comunista è prigioniero del “bertinottismo”, vale a dire quel misto di spontaneismo e di tendenziale volontà di superare la tradizione comunista italiana?

Sono questi interrogativi che nascono dall’interno del partito di Ferrero, voci preoccupate per lo stallo del processo federativo e, più in generale, per l’appannamento dell’ipotesi “fusionista”. Un dirigente di primo piano di Rc, Fosco Giannini leader dell’Ernesto (una componente interna del partito) ha inviato una lettera aperta al suo segretario squarciando il velo dell’ipocrisia.

Caro Ferrero, gli scrive Giannini, “credo che sia il tempo di porti una domanda: perché respingi la proposta, avanzata dal Pdci – ma ormai fatta propria da tanta parte dei quadri e della base del Prc, dalla diaspora e dall’elettorato comunista – di unire i due piccoli partiti comunisti italiani? Non è una domanda retorica, un artifizio: è tutta quell’area, ormai vastissima (anche esterna ai due partiti comunisti, che chiede l’unità, che non sopporta più di vedere i comunisti dissanguarsi, dividersi) a portela. E’ una domanda vera: vorrebbero tutti conoscere i motivi di fondo (politici, teorici, tattici, strategici, quelli che siano) che ti spingono a dire no”.

Onore a Giannini per aver ficcato con ruvida brutalità i piedi nel piatto. La questione della riunificazione, pur con alcune tappe intermedie, è infatti all’ordine del giorno degli iscritti e degli elettori del Prc e del Pdci che mal digeriscono tatticismi e sfuggenti analisi leggere come il fumo. Mentre la destra e la Confindustria dettano l’agenda della politica italiana e pericoli reali si addensano sulla nostra Repubblica e mentre il Pd riparte con un nuovo segretario, è un dovere e una necessità per la sinistra comunista di rimettere insieme i cocci.

Nessuno però storca il naso. Bisogna riannodare storie e vicende in un progetto. Non in generiche giaculatorie su quanto sono belli i comunisti ma in un progetto semplice e rigoroso di ripartenza. Con l’obiettivo certo di fare l’opposizione (ma non in eterno chiedono i lavoratori), di suscitare movimenti di lotta generali ma anche di riannodare il filo di intese programmatiche con il Pd e l’Idv per tornare di nuovo alla guida del Paese. Bisogna dunque rimettersi in gioco e questo certo non è moderatismo.

Ma c’è di più. Sbaglierebbe di grosso chi pensasse a una semplice riedizione della Rifondazione post-Bolognina per rimettere insieme le due componenti comuniste. Bisogna fare qualcosa di diverso, compiere un’operazione di grande respiro riassumendo la tradizione comunista italiana con le necessarie innovazioni. Oggi quella storia e quella pratica politica sembrano sospese e messe tra parentesi. Ma il rinnovamento non deve diventare furia iconoclasta, fastidio per le radici, noia per la politica. Bisogna anche rivolgersi a tutte quelle persone di sinistra (e molte si definiscono ancora comuniste!) che stanno nel Pd con un certo disagio.

Curiosamente di fronte al peggior governo della storia repubblicana, all’esecutivo più a destra dal 1945, con la sinistra nell’angolo e i comunisti in via di estinzione sembra che Ferrero si concentri maggiormente nella difesa dello smunto spazio identitario.

Riprendo una parte della lettera di Giannini al suo segretario: “a me sembra che la parte del nostro gruppo dirigente contrario all’unità ragioni più o meno così: il Prc ha avviato profonde innovazioni, politiche e teoriche, e il Pdci non lo ha fatto. Prendiamo sul serio questa argomentazione: quali sono queste innovazioni? E’ stata un’innovazione la cancellazione, da parte nostra, della categoria dell’imperialismo? E’ stata un’innovazione seria la scelta bertinottiana di affidare completamente il ruolo di intellettuale collettivo, centrale nel pensiero gramsciano, allo spontaneismo dei movimenti? E’ stata un’innovazione positiva aver affermato (Bertinotti e Gianni) che i dirigenti e gli intellettuali comunisti del Novecento sono tutti morti e non solo fisicamente? E’ stata mai delineata un’analisi profonda, critica ma non liquidatoria, della storia del movimento comunista?”.

Mi fermo qui. Ferrero non può accontentarsi di ricostruire il suo, di partito. Serve che dica chiaramente se vuole davvero l’unità dei comunisti oppure spieghi quali siano queste abissali differenze con i compagni separati del Pdci. Oppure gli attriti del passato, qualsiasi essi siano, sono così importanti da togliere quel poco di speranza che è rimasta nella sinistra?

Fonte: www.fuoripagina.net