«Fermiamo la precarietà»

Una bella scommessa, molto rischiosa. Ma se riuscisse potrebbe diventare la nuova lotta contro il Cpe, versione italiana. Ieri all’assemblea «Stop precarietà ora» di Roma c’erano davvero tutti i movimenti che in questi anni hanno fatto piccole e grandi lotte contro la precarietà, da Milano alla Sicilia. Dal sindacato «istituzionale» – la Cgil – ai Cobas e alle reti metropolitane di Luca Casarini. Dall’Arci al grande numero di associazioni che si sono battute per la pace, e adesso ritengono che i tempi siano maturi per scommettere sul lavoro. La Fiom di Gianni Rinaldini e Giorgio Cremaschi. I ricercatori precari, gli universitari, i cocoprò di Atesia. I gruppi «creativi» e internettizzati come i Chainworkers di Milano o gli Acrobax di Roma. I disobbedienti di Action, molti processati per le occupazioni delle case. Grande attenzione dalla sinistra radicale, presente con i suoi due ministri di punta – Paolo Ferrero, reduce dal no al Dpef e applaudito in apertura, e Fabio Mussi – e un ampio stuolo di deputati (Buffo, Folena, Russo Spena, Cannavò, Russo, Malabarba per citarne alcuni), il segretario di Rifondazione comunista Franco Giordano; il sottosegretario Alfonso Gianni. Ma non citiamo i nomi per dare l’onore della passerella: si spera piuttosto che la presenza abbia una traduzione concreta negli atti di governo, perché le storie raccontate dai tantissimi precari che hanno affollato il teatro Brancaccio – stracolmo in apertura – meritano attenzione.
L’elemento più significativo è stato il dialogo senza rete, sapendo di partire da posizioni e metodi di lotta diversi, ma come ha detto giustamente Giorgio Cremaschi in conclusione – impugnando un megafono perché il teatro aveva già staccato i microfoni – «bisogna trovare un punto di mediazione». Perché l’obiettivo, almeno quello immediato, è comune: spingere il governo ad abrogare le tre leggi berlusconiane che hanno precarizzato il lavoro, mercificato la ricerca e lo studio, umiliato i migranti: la legge 30, la riforma Moratti, la Bossi-Fini.
La presidenza, in apertura, ha espresso il suo sostegno al manifesto (perché è come un precario: «ha 35 anni, ti gira ancora per casa e sta sempre a chiederti soldi», aveva genialmente sintetizzato la vignettista Ellekappa). La parola è passata subito ai lavoratori e agli organizzatori dell’assemblea. La prima divergenza è stata sulla data della manifestazione prevista per ottobre: deciderla subito, come proposto da Casarini e dai Cobas, o dopo agosto (parere della Cgil)?
Verrà fissata a inizio settembre, probabilmente per il 21 o 28 ottobre, per dare modo al movimento di distribuirsi in una miriade di iniziative locali. E’ stata espressa «netta contrarietà» al Dpef: la manifestazione di ottobre, infatti, dovrebbe essere fatta anche contro la finanziaria. In settembre la manovra sarà più chiara, e alcuni temono che i più disposti a dialogare con il governo si sfilino in extremis se dovessero ricevere qualche soddisfazione. Dunque l’accoppiata «no Dpef» e «no precarietà» può unire e moltiplicare la piazza, ma può anche dividere e affossare il movimento.
Gianni Rinaldini (Fiom) ha spiegato che «la lotta è comune in Europa, contro la direttiva Bolkestein e sugli orari di lavoro, e in Italia contro la legge 30: ma bisogna ridefinire tutta la normativa sul lavoro, i contratti a termine e le collaborazioni». Per Piero Bernocchi (Cobas) «bisogna chiudere i cpt, e la sinistra deve farsi sentire, perché la maggioranza ha fatto svanire tutti gli impegni presi prima del voto». Carlo Podda (Fp Cgil) ha detto che «il 19% degli italiani vive sotto la soglia di povertà, e il paese non si è improvvisamente arricchito dopo le elezioni: i poveri ci sono sempre, e bisogna mettere l’uguaglianza prima della competitività. Il lavoro pubblico va stabilizzato, per assicurare servizi di qualità».
Luca Casarini spiega di essere presente «perché si parla di abrogazione e non di emendamenti: ma bisogna essere realmente radicali, autonomi. Non c’è spazio per la concertazione, e, dall’altro lato, per la mobilitazione. I giovani contro il Cpe, con la piazza, hanno spazzato via chi tentava di concertare, e per questo hanno vinto contro il governo». Enrico Panini (Flc Cgil) dice che «non è estemporaneo il fatto che ci troviamo insieme sulla precarietà, perché siamo stati insieme sulla pace e su altre battaglie: le tre leggi vanno abrogate perché portano con loro l’ideologia di privatizzazione dei beni pubblici». Per Paolo Beni (Arci) bisogna «valorizzare oltre al lavoro, il welfare e le politiche per la casa, i servizi sociali, la sanità, gli asili». Claudio Treves, della Cgil e di «Precariare stanca», ha fatto notare con una serie di dati come le politiche di flessibilizzazione del lavoro abbiano aumentato la precarietà e il sommerso, smentendo le teorie di chi vuole togliere le garanzie per «aprire» il mercato.
Critico verso i sindacati organizzati Andrea Capocci, della rete nazionale ricercatori precari: «Bisogna valorizzare le iniziative periferiche, quelle organizzate fuori dalle strutture. Non mettere al centro solo il lavoro, ma il welfare in generale». Stessa linea di apertura verso nuove forme di sindacato anche da Chainworkers, Acrobax e precari Atesia, che hanno presentato una mozione per la riassunzione dei 400 licenziati dal gruppo Cos. Action ha chiesto solidarietà a chi ha occupato le case sfitte di Roma e oggi si trova sotto processo.