FEDERAZIONE DI SINISTRA E AUTONOMIA COMUNISTA

La dura concretezza delle cose, in Italia, ci mette di fronte a due ordini di problemi, per molti versi tra loro autonomi e per altri in relazione dialettica. Da una parte, rispetto allo strapotere della destra, alla drammatica condizione della classe e della sinistra italiana, vi è l’esigenza di unire le forze comuniste e di sinistra anticapitalista in un progetto di lotta comune volto sia a riconsegnare un punto di riferimento ai lavoratori e ai giovani precari che alla ricostruzione di un’opposizione sociale dai caratteri di massa, oggi totalmente assente. La Federazione di Sinistra che va nascendo deve rispondere a questo primo ordine di problemi e ciò che dobbiamo eventualmente rimarcare è che essa, rispetto alla pesante questione sociale, è ancor priva – come dimostra anche il documento politico sul quale nasce – di forti e mobilitanti obiettivi di lotta. Su salari, scala mobile, legge 30, contratto nazionale di lavoro e precarietà le indicazioni sono assenti o deboli, come se si fosse voluto far prevalere un disegno organizzativo e strutturante della Federazione piuttosto che la messa a fuoco delle brucianti questioni sociali da affrontare attraverso un’immediata unità d’azione (cosa ben diversa ed efficace di quell’ennesimo, consunto, progetto partitico di riduzione ad uno della sinistra che in molti ancora affidano alla Federazione).

Va aggiunto che dal punto di vista della necessità oggettiva (se vista con gli occhi di una ragazza precaria, di un operaio di fabbrica) dell’unità d’azione delle forze comuniste e di sinistra, quella critica alla Federazione “quale anticipazione dell’unità dei comunisti” che sale da alcune aree del Prc appare davvero pregiudiziale e stravagante, tanto più se espressa – appunto – da comunisti.

Assieme all’esigenza dell’unità vi è però in campo, con tutta la sua pesantezza, una seconda questione: quella comunista. Per motivi ancora colpevolmente non indagati siamo di fronte ad una crisi storica del movimento comunista italiano, che rischia di scomparire per una lunga fase. Tale crisi può risolversi solo attraverso un rilancio cosciente e determinato (assente, da Chianciano in poi) dell’autonomia culturale, politica e organizzativa comunista (per la quale la Federazione non deve in nessun modo essere d’ostacolo), della ricerca politica e teorica aperta e della prioritaria collocazione dei comunisti nel conflitto sociale. Da questo punto di vista la Federazione non è la risposta alla crisi del movimento comunista: essa – essendo solo la risposta all’esigenza dell’unità – può dialetticamente aiutare a rimettere in campo i comunisti ma non può assolvere il compito della ridefinizione della loro autonomia di prassi e di pensiero.

Dovremmo essere invece capaci di costituire un proficuo rapporto tra il ruolo dei comunisti nella costruzione dell’unità d’azione e del conflitto con le altre forze della sinistra anticapitalista e il rilancio dell’autonomia comunista,che proprio in questo movimento potrebbe trovare nuova linfa.

Ben sapendo che i due progetti strategici (rapporto unitario tra forze della sinistra d’alternativa e autonomia comunista) sono distinti.

Occorrerebbe, da questo punto di vista, che, insieme alla costruzione della Federazione, le due forze comuniste all’interno di essa, Prc e PdCI, iniziassero, abbandonando ogni risibile autoreferenzialità, un percorso comune – non necessariamente vincolato a immediate soluzioni organizzativistiche – di ricerca teorica, politica e programmatica per affrontare insieme – dirigenti, quadri operai e intellettuali Prc e PdCI e comunisti senza partito – l’analisi delle questioni essenziali per una ripresa del movimento comunista: storia del movimento operaio e comunista del ‘900, quadro internazionale e internazionalismo, capitalismo e classe in Italia, sindacato di classe, forma partito, politica delle alleanze; e insieme con esso un percorso di ricollocazione unitaria dei comunisti nel conflitto sociale quale forma alta e costituente dell’unità (dieci giorni di iniziativa comune, in piazza e di fronte alle fabbriche sul referendum contro la legge 30, cancellerebbero tante astruse contrarietà al rinsaldamento della frattura comunista).

E’ sbagliato – sia per chi avversa che per chi sostiene l’unità dei comunisti –affermare che la Federazione ne sia la matrice primaria. Può rappresentare sia l’unità d’azione tra forze diverse che una base per riavvicinare i militanti Prc e PdCI, non così distanti, culturalmente, come si vuol far credere. Ma la risoluzione strategica della diaspora comunista e la definizione di un profilo politico e teorico comunista all’altezza dei tempi necessita invece – assieme alla lotta comune – un progetto di consapevole respiro politico e culturale, non lasciato al moto spontaneo ma progettualmente perseguito.