Da un lato c’è Fausto Bertinotti che (non da ieri) pensa al dopo Prodi. Dall’altro c’è una buona parte del suo partito che (non da ieri) dallo schema dell’Unione non vuole uscire. E Rifondazione, finché non ci sarà l’evidenza dei numeri, si mette in attesa degli eventi. Ma, a quanto pare, il suo gruppo dirigente ancora non considera politicamente chiusa questa esperienza di governo. O meglio, anche se lo pensa, non lo dice apertamente rinunciando a tracciare nuovi scenari. E, al contrario di Bertinotti, non nomina in relazione al governo la parola «crisi», che, nei fatti, si aperta con l’uscita di Mastella dalla maggioranza. L’ultimo tabù del Prc ha oggi un solo nome: governo istituzionale. Bertinotti lo ha superato, i suoi meno, anzi per niente.
Il quadro di ieri, e non solo di ieri, è quello del grande disordine sotto il cielo, ma di cose eccellenti, per Rifondazione e per Prodi, proprio non se ne vedono. Per non parlare della Cosa rossa (a proposito: che fine ha fatto?) che si percepisce solo quando si divide. In questo contesto, in un’intervista alla Stampa alla vigilia dell’intervento di Prodi alla Camera, Bertinotti ha messo i suoi paletti. E, parlando apertamente di «crisi di governo», ha sbattuto la notizia (e la politica) sul tavolo: per lui il governo istituzionale non sarebbe un’ipotesi da respingere, anzi. E questa ipotesi non tradirebbe, a suo giudizio, nemmeno l’impostazione classica del suo partito (il primato del sociale sul politico). Ecco sfatato l’ultimo tabù, il governo istituzionale appunto. Dice Bertinotti: «Il Parlamento soffre di una specie di separatezza col paese. La soluzione non può essere che l’avvio di una puntuale risposta, con grandi riforme che sblocchino il sistema politico-istituzionale». E ha aggiunto: «Vorrei sottolineare che la riforma della legge elettorale, le modifiche costituzionali e dei regolamenti parlamentari non sono una deviazione dai grandi temi sociali ma il modo per poter affrontare e risolvere quei problemi». Messaggio, più o meno esplicito: un governo per le riforme non significherebbe rinunciare alla propria missione. Rispetto all’impostazione del grosso del suo partito la differenza di impostazione è palpabile: «Di fronte ai messaggi inquietanti che vengono dai palazzi della politica è essenziale per noi disinvestire dal governo e tornare a investire nel progetto di una alternativa di società… » aveva detto il segretario del Prc a Liberazione in un’intervista dal taglio molto social. Opposta l’impostazione dei bertinottiani puri. Afferma Alfonso Gianni, vicinissimo al presidente della Camera «E arrivato il momento di farsi carico delle proprie responsabilità di fronte al paese. Serve un governo di transizione che affronti il tema della legge elettorale».
La linea attorno a cui si è attestato Giordano al termine della segreteria di ieri sembra, per ora, diversa rispetto a quella del presidente della Camera: «Noi non chiediamo elezioni anticipate e nemmeno disegniamo altri scenari», ha detto al termine della riunione. Tradotto: per ora dobbiamo provare a tirare a campare con Prodi, finché dura. E fino a che Prodi dura, l’ipotesi di governo istituzionale non è all’ordine del giorno. Anche altri pezzi di Rifondazione si sono attestati su questa posizione. Ferrero su tutti, che prima della segreteria aveva tagliato corto: «Io non vedo le condizioni per un governo istituzionale. Non capisco chi lo sosterrebbe». E se Prodi non dura? Il pendolo del “né né”
(«né elezioni né governo istituzionale») sembra, per ora, pendere più dalla parte delle elezioni. Il ragionamento che si fa in via del Policlinico suona più o meno così: innanzi tutto bisogna vedere come va giovedì al Senato; e fino a giovedì ci attestiamo sulla linea delle elezioni per puntellare, dal nostro punto di vista, Prodi. Tra l’altro tutta la Cosa rossa è contraria al governo istituzionale, quindi meglio non produrre ulteriori fibrillazioni in un’alleanza che rischia di saltare da un momento all’altro. Ma soprattutto, dicono a Rifondazione, l’idea di un governo istituzionale per l’elettorato rosso è indigeribile, dal momento che il popolo della sinistra-sinistra in un governo con pezzi di centrodestra vedrebbe un tradimento vero e proprio. A ciò si aggiunga un’altra considerazione: ammesso che si riesca a fare un governo per la legge elettorale, questo stesso governo che colore avrebbe sul resto? Riuscirebbe a realizzare quei punti del programma dell’Unione che Rifondazione sta provando a difendere in ogni modo (dalla Amato-Ferrero alla questione dei salari)? Fin qui la pretattica in vista della prova del fuoco di giovedì. Ma al fondo del “né né” c’è anche un’altra considerazione. Il porcellum non è, vista dal Prc, una cattiva legge per prendere voti, nel senso che si tratta pur sempre di una legge proporzionale. Quello che non va – e non è un dettaglio – sono le alleanze coatte che costringe a fare. Prima di aprire al governo istituzionale, dicono, occorre dunque cautela. Ma, paradossalmente ma non troppo, è proprio sulla questione del bipolarismo coatto che molti danno ragione a Fausto. E giovedì sera potrebbe cambiare musica. Anche sull’ultimo tabù.