Fausto, Pier e il sogno di essere ancora decisivi

Pier Ferdinando Casini non voterà la fiducia a Silvio Berlusconi premier. Fausto Bertinotti, l’ipotesi che a chiederla possa essere Walter Veltroni non l’ha neppure mai presa in considerazione. Se si getta lo sguardo oltre il risultato che uscirà dalle urne questo week-end, è questa la fondamentale differenza tra le due opposizioni che il nascente bipartitismo Pdl-Pd si trova di fronte. Due forze, l’Udc e la Sinistra, che giocheranno un ruolo di cerniera soprattutto nel caso (probabile) in cui i numeri usciti dalle urne non dessero una maggioranza salda al Senato a nessuno dei due contendenti. Ma mentre Casini avrà vinto comunque, anche se in Senato non dovrebbe superare lo sbarramento all’8% per più di 4-5 regioni, Bertinotti si gioca una diversa partita, poiché la Sinistra è al momento un Arcobaleno, in tutti i sensi. E perché la rottura è consumata: anche se per ipotesi vincesse Veltroni, ragiona Bertinotti, sarebbe di misura, «e di certo non potrebbe contare sui nostri senatori».

Diverso, nel paragone tra i due, è anche il sentimento con cui attendono l’esito elettorale. Bertinotti fa sapere che «da martedì, quale che sia il nostro risultato, io passo la mano»: si presterà a commentare i risultati al Tg1 e a Matrix lunedì sera, ma altre trasmissioni a cominciare da Ballarò hanno ricevuto un diniego. Il gran rifiuto di Bertinotti non è alla politica, naturalmente, ma al suo ruolo: padre nobile operativo, ma senza nessuna carica. «Largo ai giovani», ha ripetuto pubblicamente. «E’ finita una stagione politica, per me è arrivato il tempo della riflessione e dello studio, mi piacerebbe insegnare», confidava quando non si era ancora consumata la caduta del governo Prodi, durante il suo ultimo viaggio in America Latina, dove effettivamente cattedre in sociologia gli sono state offerte da varie università. Casini invece ha studiato ogni mossa della sua campagna, consapevole dei rischi ha calcolato al millimetro gli effetti, fino all’ultima mossa, che non è quella del cavallo bertinottiana ma quella dello scacco: «In caso di pareggio tra Berlusconi e Veltroni, mi offro come premier».

Sull’analisi politica i due oppositori convergono. Per Casini un’eventuale vittoria veltroniana sarebbe come se la fantasia superasse la realtà, «anche se i sondaggi sono nel pallone, la forza di Pdl più Lega resta superiore a quella di Pd più Di Pietro», ha notato con i suoi. Più probabile invece un testa-a-testa al Senato, una nuova ingovernabilità. E qui Casini si prepara a non fare da stampella e nessuno, a comportarsi da «opposizione costruttiva».

Per Bertinotti è diverso: ritiratosi nel ruolo di «padre nobile attivo», come lo chiama, resta tuttavia il leader naturale di una formazione non-nata. La sua attenzione politica è concentrata sulla Sinistra Arcobaleno, ora un semplice rassemblement di fronte a un bivio: Rifondazione, ex Correntone, Comunisti e Verdi dovranno sciogliersi, soluzione che Bertinotti auspica, o federarsi come vorrebbe Paolo Ferrero, perdendo per strada Diliberto? Molto dipenderà, ovviamente, anche dalle urne: «Un conto è se prendiamo il 6, un conto se ci avviciniamo all’8». Per quel che riguarda l’orizzonte del governo, la previsione è che vincerà, con margine esiguo, Berlusconi, un leader di cui Bertinotti apprezza le capacità («La sua è la più spettacolare rimonta della storia italiana», confidò dopo le politiche del 2006). A quel punto, non ci saranno larghe intese alle viste. Nessun modello «tedesco», ma francese: ovvero il Cavaliere non potrà non offrire all’opposizione una sorta di sarkozista Commissione Attali sulle riforme, e lì si creerà su alcuni punti, federalismo, legge elettorale, poteri del premier, una sorta di dialogo bipartisan da offrire come uno scalpo di unità a un Paese sul quale si sarà abbattuta la scure della recessione. E’ allora, ragiona Bertinotti, che si aprirà uno spazio vero per una nuova sinistra: difendere i lavoratori «sui quali si cercherà di scaricare il peso della crisi».