Fassino chiede un rimpasto. Gelo di Prodi

Un ritocchino, un assestamento, una «qualche forma di riorganizzazione»… Un rimpasto, insomma. Piero Fassino dietro le quinte lo va argomentando da tempo che la macchina del governo Prodi, con le sue tensioni e le sue contraddizioni, ha urgente bisogno di un tagliando, ma un messaggio così netto e chiaro all’indirizzo di Palazzo Chigi, prima d’ora il segretario del primo partito dell’Unione non lo aveva mai spedito.
La cartolina da Venezia è arrivata di buon mattino, quando un’agenzia di stampa ha mandato in rete le parole pronunciate da Fassino domenica a tarda sera, alla Festa dell’Unità della città delle gondole. Quando gliele hanno riferite, Romano Prodi quasi non voleva crederci e chi era con lui racconta di una «forte irritazione» del premier. Non c’è nulla da rilanciare nell’azione del governo. semmai, è la replica della presidenza del Consiglio, si tratta di «continuare» il lavoro.
Nei giorni scorsi il Professore aveva anche valutato l’ipotesi di rivedere la squadra, magari per alleggerire un po’, come aveva suggerito tra gli altri Gad Lerner, un pachidermico esecutivo che ha sfondato quota 100 Poi però, col passare dei giorni e viste le turbolenze tra sinistra radicale e ala riformista, Prodi si è convinto che «se si tocca un mattone vien giù tutto il castello». Se poi dopo il 14 ottobre — e qui il ragionamento del Professore suona quasi come una sfida a Veltroni — il neosegretario riterrà opportuno ridurre la squadra del Pd al governo, nor sarà certo il premier a opporsi. Due partiti che diventano une possono ben dimezzare le loro poltrone, il che gioverebbe all’immagine assai appannata dell’esecutivo…
Per ora dunque niente rimpasto, anche perché la richiesta di Fassino non pare aver incontrato molti sostenitori, nemmeno dentro l’Ulivo. «Bisogna stare attenti a non rompere i delicati equilibri che di solito hanno le grandi squadre» avverte Antonello Soro, coordinatore della Margherita. «Accontentiamoci di assestare il Partito democratico», gela Fassino il senatore Marco Follini lasciando il Campidoglio dopo un «incontro amichevole» con Walter Veltroni. E da sinistra Titti Di Salvo per Sd e Giovanni Russo Spena per il Prc stoppano pressoché all’unisono ipotesi di «un monocolore del Pd».
Ma cosa ha detto il segretarie Ds a Venezia? Premessa: «Siamo disposti a fare di tutto perché questo governo arrivi a fine legislatura. Le condizioni, pui difficili, ci sono, perché la maggioranza di centrosinistra agli appuntamenti cruciali è arrivata sempre». Conclusione: «Una qualche forma di riorganizzazione, di riassestamento della squadra di governo sarebbe utile per un rilancio della sua azione». Postilla, sui confini della maggioranza: «Occorre costruire un sistema di alleanze che nel tempo consenta di avere un consenso maggioritario più largo». Il che vuol dire aprire, dove possibile, al dialogo con Udc e Lega Nord.
Fassino non lo dice, ma nelle segrete stanze dell’Ulivo molti sospettano che il rimpasto suggerito dal leader Ds dovrà coinvolgere lui medesimo. Perché è vero che giorni fa a Bologna, quando Giovanni Minoli gli ha domandato «cosa farà Piero Fassino dopo il 14 ottobre?» il segretario ha risposto che tornerà a fare «il chierico» dopo essere stato per sei anni «papa», ma è anche vero che è ancora politicamente troppo giovane per ritirarsi a vita monacale.
Visto il gelo che arriva dagli appartamenti del premier, al Botteghino aggiustano il tiro e spiegano che il principio enunciato da Fassino non conteneva certo «l’intenzione di mettere in mora l’esecutivo». Tanto più che, come ha chiarito Fassino, la decisione di un maquillage alla squadra «deve essere affidata in modo assoluto a una valutazione del premier».. Un terzo vicepremier? Impossibile, visto che Rutelli e D’Alema sono entrambi del nascente Pd. Il ministero dell’Economia? Idea fantasiosa, con la Finanziaria da fare e approvare. Il rebus è complesso e la soluzione, fanno sapere dai piani alti di Palazzo Chigi, non è all’ordine del giorno.