Fare la guerra parlando di pace

Quale morale trarre dal voto di martedì al Senato lo ha detto molto bene Micaela Bongi sul manifesto di ieri, ma vorrei aggiungere qualcosa, qualcosa di molto schematico, come è vizio dei vecchi.
Innanzitutto il voto di martedì al Senato mette in evidenza la miseria e le pulsioni suicidarie di Silvio Berlusconi. Di fronte a un voto che decideva la continuazione della presenza di militari italiani in Afghanistan, l’intrepido Berlusconi si è astenuto. A lui dello scontro di civiltà (parole sue) che, cruentemente, si svolge in Afghanistan non gliene importa nulla: lui pensa solo a far cadere Prodi e pertanto si astiene, non dice sì alla presenza militare italiana. I responsabili del governo deli Stati Uniti d’America dovrebbero riflettere (già riflettono) sulla credibilità di questo loro presunto alleato: è un uomo non affidabile.
Detto questo debbo aggiungere che martedì sera ho visto «Porta a porta» e ho un po’ sofferto per le difficoltà in cui si trovava il nostro compagno e amico Franco Giordano, segretario di Rifondazione comunista. E – sempre a mio parere – si trattava di una difficoltà inevitabile perché doveva sostenere la tesi che la nostra missione in Afghanistan fosse di pace e non di guerra. Evidentemente se i nostri soldati in Afghanistan sono lì solo a fini di pace e – mi si dice – di restaurare l’ordine nella gestione delle cose di giustizia, cioè rimettere in funzione i tribunali civili non c’è ragione di avere la copertura di elicotteri, caccia bombardieri e quant’altro. La nostra forza di pace dovrebbe richiedere solo e soltanto il sostegno di giuristi ben preparati. Ma si dà il caso che questi intrattabili afghani, più o meno talebani, sparino, organizzino attentati, insomma facciano la guerra. E se c’è la guerra (questo sarebbe il punto da chiarire) per difendersi ci vogliono gli elicotteri e tutto il resto. E allora – se c’è la guerra – le provocazioni (assolutamente strumentali e contraddette dall’astensione) di Berlusconi qualche fondamento finiscono per trovarlo. Ma l’amico Franco Giordano e l’attuale maggioranza sostengono che in Afghanistan non c’è la guerra, ma c’è solo da bonificare un po’ di illegalità diffusa. E non possono dire che c’è la guerra e che i nostri soldati sono in guerra perché se così fosse l’attuale maggioranza rinnegherebbe i propri principi e il mandato elettorale ricevuto.
Ma in Afghanistan c’è guerra o che altro? I fatti dicono ogni giorno di più che c’è guerra. Così, o si nega la realtà oppure la prospettiva del ritiro dei nostri soldati va messa perlomeno in campo, senza neppure dover scomodare il tanto contraddetto art. 11 della Costituzione. Tertium non datur. Tanto più che la storia ci dice che le guerre afghane sono infinite e sempre disastrose come hanno sperimentato gli inglesi e i russi, quelli dello zar e quelli dell’Unione sovietica.