Se divorzio e aborto fanno parte del patrimonio comune dell’Unione (come ho letto sui giornali di ieri) perché non è possibile inserirne la salvaguardia nella carta dei principi, cioè nel documento che ne sancisce appunto il patrimonio comune, causa l’opposizione di Rutelli (come leggo sui giornali di oggi)? Davvero, il linguaggio della politica diventa ogni giorno più incomprensibile, ed il rischio dell’esserci affidati ad un sistema maggioritario leaderistico (primarie comprese) diviene ogni giorno più visibile: può bastarci, infatti, che il presunto futuro leader dell’Unione (dico presunto perché le primarie ancora devono svolgersi) assuma personalmente su di sé l’onere dell’impegno a non modificare il “punto di equilibrio” (così recitava la frase cancellata dalla carta dei principi) rappresentato dalle attuali leggi che regolamentano il divorzio e l’aborto? E perché l’abbreviazione del tempo necessario ad accedere al divorzio deve essere equiparato alla necessità – per la libertà femminile in primis, ma per la libertà di tutti – che venga battuta la possibilità di estendere al feto l’aberrante principio introdotto dalla legge 40 della capacità giuridica dell’embrione e quindi della sua primazia sulla persona in carne ed ossa che è la donna che ha scelto di portarlo in seno? Lo chiedo in quanto donna e in quanto comunista. Ambedue le posizioni mi vedono, non da oggi, politicamente in minoranza, essendo nel movimento delle donne tra quante ritengono che la questione dell’oggi sia quella della differenza sessuale (che va ben oltre la logica dell’emancipazione, delle pari opportunità e finanche della differenza di genere), ed essendo in Rifondazione tra quanti/e si sono opposti/e al nuovo corso bertinottiano ed hanno, più o meno sommessamente, fatto la loro battaglia dentro l’area di “Essere comunisti” perché fin dal congresso di Venezia si affermasse nel partito la necessità di andare all’alleanza con le altre forze di centrosinistra che fanno parte dell’Unione avendo chiari alcuni punti fermi, i tanto vituperati “paletti” oltre i quali non fosse possibile arretrare. Se si fosse aperta la discussione su questo, e non parlo soltanto del mio partito, ma della coalizione che tenterà di battere Berlusconi nel 2006, se il programma fosse da subito stato posto come fondante dell’alleanza, non ci troveremmo oggi a dover rincorrere prevedibili cadute, essenzialmente maschili, in politiche d’antan che altro non fanno che prescindere dall’esperienza concreta degli uomini e delle donne che pur si propongono di governare. L’autodeterminazione delle donne non è principio da cui si può arretrare in un programma che voglia dirsi in soluzione di continuità con le posizioni del centro destra. Tanto meno può sparire dalla carta dei principi come se si trattasse di uno di quei punti “eticamente sensibili” che apprendo essere previsti e citati nella carta stessa. Per quale motivo elettori ed elettrici dovrebbero affidarci la loro fiducia, se questa soluzione di continuità non si fa visibile? E per quale motivo le donne dovrebbero votare per una Unione che come primo, fondante, atto stralcia l’essenziale che le riguarda dai suoi intenti? Non lo faranno, e non soltanto perché non possono specchiarsi in una rappresentanza praticamente monosessuata. Forse dobbiamo cominciare a dircelo.