Far West più vicino se passa la nuova legge

La notizia dell’avvenuta approvazione, da parte della commissione Giustizia della Camera (con l’astensione critica del suo presidente, Gaetano Pecorella), del disegno di legge volto a modificare la disciplina della legittima difesa, nel testo già approvato dal Senato, è di quelle che suscitano profonda preoccupazione in chiunque abbia a cuore le sorti di un equilibrato sistema penale in uno Stato di diritto liberale e democratico. Se tale modifica verrà approvata in via definitiva anche dall’aula di Montecitorio, infatti, troverà ingresso nel nostro codice penale una previsione destinata non solo a diminuire notevolmente il grado della tutela riservata ai beni fondamentali dell’individuo (a cominciare dalla vita e dall’incolumità), ma anche ad alterare pericolosamente la gerarchia dei valori propri della nostra civiltà giuridica. Le ragioni della preoccupazione, accompagnata anche da un grave sconcerto per un modo tanto approssimativo di legiferare (questa volta in ossequio a spinte demagogiche provenienti soprattutto dalle file leghiste), appaiono manifeste in base a un semplice confronto tra la realtà normativa di oggi e quella proposta per domani. Oggi il codice penale prevede la legittima difesa come causa di giustificazione (e quindi di non punibilità) dell’imputato allorché il medesimo sia stato costretto a commettere il reato dalla «necessità» di difendere un diritto proprio o altrui contro il «pericolo attuale» di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia «proporzionata» all’offesa. Tutti elementi da valutarsi, caso per caso, dal giudice, all’insegna di una esigenza di concreto bilanciamento tra i beni giuridici aggrediti dal reato e quelli lesi attraverso la reazione a tale aggressione.
A questa saggia disciplina, che rimarrebbe ferma, il disegno di legge in esame vorrebbe invece aggiungere la speciale previsione di un «diritto all’autotutela in un privato domicilio», diretta a estendere oltremisura i confini della causa di giustificazione. In particolare, nei casi di violazione di domicilio, il rapporto di proporzione richiesto per la legittima difesa dovrebbe ritenersi presunto, tutte le volte in cui il propietario o altro soggetto presente in uno dei luoghi di domicilio (come pure nei luoghi di esercizio di un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale) facesse uso di «un’arma legittimamente detenuta» o di «altro mezzo idoneo», al fine di difendere «la propria o altrui incolumità» ovvero «i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione».
Per questa strada, come si vede, l’odierna fisionomia della legittima difesa ne risulterebbe stravolta: sia per il venir meno di qualunque rapporto di effettiva proporzionalità tra difesa e offesa; sia per il contestuale affievolirsi di altri importanti limiti previsti dalla normativa vigente (per esempio, si ammetterebbe in via ordinaria l’uso delle armi anche per la tutela di beni materiali, oltretutto in presenza di un pericolo di aggressione non meglio qualificato).
Il messaggio che ne scaturisce è, evidentemente, quello di un incoraggiamento a «farsi giustizia da sé» (per esempio, anche a uccidere un ladro sorpreso a rubare in casa, nel mero timore di un pericolo di aggressione), e le conseguenze sono facili da immaginare, com’è stato già sottolineato da molti illustri penalisti, nonché dagli avvocati delle Camere penali. Il rischio è soprattutto quello di un allarmante imbarbarimento nei rapporti della vita sociale, provocato da una prevedibile sollecitazione al possesso e all’uso delle armi da parte dei cittadini più esposti, cui non potrà non corrispondere una più elevata aggressività a opera della delinquenza, con esiti dannosi per tutti, ma specialmente per i primi. Un rischio derivante dall’affermarsi di un costume da Far West, che deve essere risparmiato al nostro Paese.