E’ cominciata la missione del Consiglio di sicurezza dell’Onu in Europa sulla «mediazione» di Martti Ahtisaari, cioè la proposta di indipendenza «controllata» del Kosovo, la provincia ancora formalmente serba anche per le strabiche Nazioni unite che con la risoluzione 1244 assunsero la pace di Kumanovo del 1999 che pose fine alla guerra «umanitaria» della Nato contro l’ex Jugoslavia. Dopo gli incontri di ieri a Bruxelles alla Nato e alla Commissione europea, oggi sono in programma a Belgrado colloqui con il presidente serbo Boris Tadic e con l’ex premier Vojislav Kostunica – uniti nel dire no all’indipendenza del Kosovo. E domani a Pristina incontri con l’Unmik e poi con il presidente albanese-kosovaro Fatmir Sejdiu e il premier Agim Ceku, più che favorevoli alla «mediazione» di Ahtisaari. Sabato a Vienna vertice conclusivo con Ahtisaari.
L’escamotage della «missione» deriva dalla dura contrarietà alla proposta di indipendenza da parte della Russia, ormai disposta a porre il veto, fa capire il ministro degli esteri russo Serghei Lavrov; e della Cina. La comunità internazionale è ormai divisa. Nella stessa Ue, contro l’indipendenza sono la Grecia, la Spagna, Cipro Nord, la Slovacchia – membro permanente del Consiglio di sicurezza – e un richiamo a evitare «soluzioni unilaterali» è arrivato perfino dalla Germania. Soprattutto dopo che il sottosegretario agli esteri Usa Nicholas Burns ha annunciato al Congresso Usa che gli Stati uniti sono pronti a riconoscere «unilateralmente» l’indipendenza anche se l’Onu non dovesse deciderlo.
Ancora un atto unilaterale nei Balcani, precipitati nel baratro della guerra sia dai nazionalismi interni sia dai riconoscimenti unilaterali di indipendenze proclamate su base etnica. I Balcani anche stavolta esploderebbero, nell’incerta Bosnia Erzegovina appesa ai destini etnici della «pace» di Dayton, e in Macedonia. Sono tanti gli «altri Kosovo», hanno poi detto i leader dei Paesi del Mar Nero (tra gli altri, Turchia, Armenia e Azerbaigian), riuniti proprio a Belgrado intorno alla Russia che, anche con il Kosovo, ritrova una centralità politica, paventando la precipitazione dell’area del Caucaso e dell’Europa centrale, e difendendo la chiesa ortodossa.
Inequivocabile, sul piatto della trattativa, la richiesta di ieri dell’ex premier Kostunica al Consiglio di Sicurezza Onu: «Va definito un piano d’azione preciso per garantire che ai serbi fuggiti dal Kosovo per la contropulizia etnica in atto, sia assicurato il diritto al ritorno». «È giunto il momento – ha detto – che il problema dei 200mila serbi scacciati dal Kosovo e che vogliono farvi ritorno si risolva. La questione è stata totalmente dimenticata dal Piano di Ahtisaari». Per il premier «il piano di Ahtisaari è fallito perché i suoi presupposti non erano legittimi», quelli del Gruppo di contatto erano: «nessuna imposizione e soluzione accettabile per tutti». Ce n’è anche per l’Italia, morbidamente favorevole all’indipendenza. Il portavoce del governo serbo Srdjan Djuric, commentando le «aperture» da Lussemburgo del ministro degli esteri Massimo D’Alema che ponevano condizioni al rilancio del dialogo Bruxelles-Belgrado, ha dichiarato che «la Serbia non è disponibile ad accettare il piano di Ahtisaari per una indipendenza “controllata” del Kosovo a nessun costo: neppure in cambio di una eventuale ripresa del negoziato d’avvicinamento all’Ue».