Frasi scontate, insignificanti dichiarazioni di intenti, appelli ad una maggiore cooperazione e tante «omissioni» hanno caratterizzato la conferenza sulla «stabilizzazione» dell’Iraq che si è aperta ieri a Baghdad e alla quale hanno preso parte ambasciatori e viceministri di Iran, Siria, Egitto, Bahrein, i cinque paesi del Consiglio di Sicurezza Onu, la Conferenza Islamica e la Lega Araba. Nessun acuto è giunto, come molti avevano previsto, dalla capitale irachena – tra occupazione americana e scontro sciiti-sunniti l’Iraq rimane in fondo al baratro – e alla fine dei lavori non è stato chiaro neppure se sia davvero avvenuto l’incontro di cui tanto si era parlato alla vigilia: quello tra i rappresentanti di Stati Uniti e Iran.
Secondo l’ambasciatore Usa a Baghdad, Zalmay Khalilzad, il colloquio c’è stato, diretto e senza peli sulla lingua, almeno, ha precisato, da parte americana. Ha smentito invece il faccia a faccia il viceministro iraniano per gli affari internazionali, Abbas Araghchi, che ha parlato di discussioni con gli americani avvenute sempre in presenza degli altri partecipanti.
Anzi, l’inviato dell’Iran ha sottolineato di aver spiegato con estrema chiarezza che senza il ritiro delle truppe di occupazione Usa dall’Iraq e senza che sia fissato un calendario per la partenza dei soldati stranieri, l’Iraq non troverà pace. «Siamo a favore della stabilità, della pace, della democrazia e della prosperità in Iraq. La sicurezza dell’Iraq rappresenta la nostra sicurezza», ha detto. Poi tornando alle accuse che Washington lancia a Teheran di rifornire con armi ed esplosivi i gruppi armati sciiti in Iraq ha affermato: «Non abbiamo motivo di interferire negli affari interni dell’Iraq».
Naturalmente è vero il contrario perche’ l’Iran fa sentire tutto il suo peso in Iraq, proprio come tutte le altre parti coinvolte, a cominciare dagli occupanti americani. Ma le sue parole sono state anche un avvertimento agli Stati Uniti: se Washington cerca collaborazione concreta sull’Iraq, al prossimo vertice, quello che si terrà il mese prossimo in Turchia a livello di ministri degli esteri (ci sarà anche il Segretario di stato Condoleezza Rice), i rappresentanti americani dovranno arrivare con in tasca concessioni importanti – in particolare sulla questione del nucleare iraniano – perché in mancanza di una contropartita adeguata l’Iran non muoverà un dito per rendere più facile la vita al presidente americano Bush.
Ad aprire il festival delle mezze verità è stato però il premier iracheno Nuri al Maliki esortando «gli Stati internazionali o regionali» ad «astenersi dall’interferire negli affari nazionali in Iraq», evitando ogni «sostegno a gruppi, etnie e partiti». Peccato che abbia omesso il particolare, non proprio secondario, delle coperture che il suo governo garantisce alle milizie sciite che massacrano civili sunniti, in risposta (ma non solo) agli attentati sanguinosi compiuti da gruppi radicali sunniti. Ugualmente parziale è stato Khalilzad quando ha affermato con tono perentorio: «Sollecito tutti i paesi vicini (all’Iraq) a respingere il principio secondo cui è accettabile la violenza selettiva contro alcune categorie di iracheni o contro le forze della coalizione e della sicurezza irachena. I vicini dell’ Iraq possono essere considerati come sostegno alla stabilità del paese – ha incalzato Khalilzad – solo se agiscono con decisione per mettere fine al flusso di combattenti, armi e supporti alle milizie e ad altri gruppi armati illegali». Parole rivolte ovviamente alla Siria e all’Iran ma Khalilzad sa bene che il flusso più intenso di jihadisti non passa per la Siria ma invece proviene dall’Arabia saudita, uno dei principali alleati degli Stati uniti nella regione.
Con un’apparente risposta alla richiesta fatta dalla delegazione iraniana che siano rilasciati iraniani sequestrati dalle forze americane l’11 gennaio, l’ambasciatore Usa ha detto: «La coalizione non ha in detenzione alcuna persona che sia un diplomatico». Non solo ma ha ribadito l’uso del pugno di ferro contro chi sostiene dall’esterno le milizie.
Al termine della conferenza, si è appreso che verranno formati comitati sul problema della sicurezza, dell’energia e dei rifugiati, che in particolare riguarda oltre due milioni di persone all’estero e un milione e mezzo all’interno dell’Iraq. Se ne parlerà ancora in Turchia ad aprile, quando dovrebbero esserci anche i paesi del G-8, Italia inclusa.