Evo Morales, l’indio che vuole rifondare la Bolivia

«Noi non vogliamo solo cambiare un presidente, vogliamo cambiare la storia, per lasciarci dietro il modello neo-liberista e lo stato coloniale», grida Evo Morales davanti a uno dei duemila campesinos riuniti in Achacachi, una delle ènclaves più radicali della cultura aymara, vicino al lago Titicaca. La data scelta da Morales è molto simbolica: 224 anni fa, il 14 novembre del 1781, il caudillo aymara Tupak Katari era stato condannato nella località di Peñas a morire squartato da quattro cavalli per essersi ribellato contro il potere coloniale spagnolo. Anche il luogo scelto per la proclamazione ufficiale della candidatura del binomio del Movimiento al Socialismo ha una sua storia, sia pur più recente: è il centro delle rivolte indiane, guidate dal Malku (il Condor) Felipe Quispe, che nel 2000 e 2001 hanno lasciato il loro sangue su questa combattiva regione dell’altipiano boliviano.

«Qui non è permesso ai partiti tradizionali venire a far campagna elettorale, possono venire solo partiti indigeni come il Mas e il Mip» (il Movimiento Indigena Pachakutik di Quispe), dice un dirigente della Federacion Campesina. Tuttavia la candidatura del Malku oggi è assai debilitata – i sondaggi gli danno meno del 2% – e tutti gli sguardi sono rivolti al leader cocalero come il portatore del sogno: essere il primo indigeno della storia della Bolivia a ricevere la fascia e il bastone presidenziali e porre fine a «più di 500 anni di esclusione e discriminazione».

Dopo che il presidente ad interim, Eduardo Rodriguez, capo della Corte suprema, con un decreto presidenziale ha superato la impasse seguita alla disputa sulla nuova distribuzione dei seggi fra le diverse regioni, non ci sono più pericoli di rinvio delle elezioni del 18 dicembre, fissate dopo la rinuncia del presidente Carlos Mesa in giugno. Dovranno eleggere il presidente e rinnovare completamente il parlamento, una delle istituzioni più squalificate del paese.

I sondaggi sembrano favorevoli per la sinistra tuttavia mostrano anche che, nonostante il vigore delle mobilitazioni popolari degli ultimi anni, la destra è indebolita ma non vinta. Un recente sondaggio pubblicato sdul quotidiano La Prensa vede Evo Morales in testa ma solo due punti sopra il candidato conservatore ed ex-presidente Jorge Tuto Quiroga (30.7% contro 28.7%) e assegna 5 dei 9 dipartimenti alla destra (oltre alla maggioranza del senato), ciò che promette un forte controllo territoriale e una sorta di assedio a un eventuale governo del Mas. Uno scenario che non rende impensabile un processo di destabilizzazione – tipo quello dell’opposizione anti-chavista in Venezuela – se la sinistra india arrivasse al potere.

«Una cosa è essere gooverno, un’altra essere potere. Per essere potere politico vero dobbiamo vincere con il 50% più uno», dice Morales pensando al sistema elettorale boliviano per cui se nessun candidato varca quella soglia è il Congresso che deve scegliere il presidente fra i due più votati. Moraes ha rifiutato l’ipotesi di un dibattito con Quiroga che l’ha attaccato duramente per la sua decisione di andare all’anti-vertice dei popoli a Mar del Plata – dove Evo era uno dei compagni di Diego Maradona sull’«espresso dell’Alba» – e ha denunciato «l’ingerenza del presidente venezuelano Hugo Chavez nella politica interna boliviana». «Quiroga è uno strumento della dittatura» (in riferimento alla sua passata militanza nel partito dell’ex dittatore Hugo Banzer) «e non è in grado di attaccare presidenti che stanno al fianco del loro popolo», ha risposto il leader del Mas che suole riferirsi a Chavez e Fidel Castro come «comandanti delle forze liberatrici del continente».

Il candidato alla vicepresidenza, il sociologo Alvaro Garcia Linera, come per gettare acqua sugli entusiasmi eccessivi, ha ricordato come «per onestà bisogna dire che oggi non ci sono le condizioni per costruire il socialismo nel nostro paese e che la Bolivia sarà capitalista per i prossimi 50 o 100 anni…».

La proposta di governo del Mas prevede tuttavia «la nazionalizzazione degli idrocarburi», subordinando gli investimenti stranieri a nuovi standard che «assicurino lo sviluppo nazionale» e l’industrializzazione del gas in territorio boliviano. Si propone anche di articolare e sviluppare le tre basi economico-produttive che convivono in Bolivia: quella industriale moderna, quella familiare e quella comunitaria, in vista di uno «shock produttivo» che dovrebbe far leva sull’eccedente garantito dagli idrocarburi.

Paura di un possibile governo di sinistra? «I soli che devono preoccuparsi di un governo del Mas sono le compagnie petrolifere che hanno truffato lo stato. Il settore produttivo sarà favorito», assicura Garcia Linera.