Europa e Asia, una nemesi storica

Poco rassicurante per l’Europa la conclusione del saggio storico-economico Un passato che ritorna di Valerio Castronovo (Laterza, pp. 366, euro 19): l’Asia «è destinata a soppiantare l’area euro-atlantica quale centro di gravitazione dello sviluppo e degli scambi». L’ipotesi è che si stia ristabilendo quella dipendenza dall’Asia che l’Europa viveva seicento anni fa e che, in un certo senso, è stata il motore del suo sviluppo, spingendo gli europei su nuove rotte, alla ricerca di un passaggio più conveniente verso il pepe nero e le spezie indiane, le sete e le ceramiche cinesi, stimolando la nascita delle grandi compagnie commerciali olandesi e inglesi.
Secondo Castronovo, d’accordo con Thomas L. Friedman di Il mondo è piatto (Mondadori 2006) e Amartya Sen di Globalizzazione e libertà (Mondadori 2003), la globalizzazione, lungi dall’avvantaggiare i paesi più avanzati, sta scatenando processi di crescita che minano le fondamenta egemoniche dell’Occidente. Una sorta di nemesi storica: l’Asia sta ristabilendo quella centralità che le era appartenuta fino alla fine del Settecento e che fu scossa dalla rivoluzione industriale inglese, nata proprio in risposta ai prodotti tessili asiatici fino ad allora predominanti sul mercato europeo.
Gli interrogativi di Castronovo sulla capacità dell’Europa di far fronte alle sfide del nuovo secolo, già espressi in L’avventura dell’unità europea. Una sfida con la storia e con il futuro (Laterza, 2004), si fanno più inquietanti in un confronto serrato con gli sviluppi asiatici, e in particolare con il dinamismo dei due colossi di quell’area, Cina e India, capaci di straordinari tassi di crescita e di innovazione scientifica e tecnologica di punta. L’obiettivo ambizioso che l’Europa si era data a Lisbona, diventare nel 2010 l’economia più competitiva e dinamica del mondo, rimpiazzando gli Stati Uniti come forza trainante dell’economia internazionale, perde colpi di fronte all’avanzata di Cindia.
L’aver «trovato l’America», spostando il centro di gravitazione europeo verso l’Atlantico, o l’aver coniugato scoperte scientifiche e innovazione tecnologica a partire dalla rivoluzione industriale inglese, sono state scosse telluriche dell’economia mondo che si ripercuotono fino ai territori asiatici e preparano il predominio europeo sull’Asia del XIX secolo. E nel ‘900 sono le guerre mondiali con l’Europa come epicentro a rimettere in moto le dinamiche asiatiche e a dare spazio all’iniziativa del Giappone, il primo paese ad aver raccolto la sfida della modernizzazione. Ed è nel primo conflitto mondiale che matura il nazionalismo cinese, nel cui ambito la rivoluzione d’ottobre diventa punto di riferimento, mentre l’India, che conosce un impetuoso sviluppo nell’economia bellica, assiste alla crescita della resistenza non violenta di Gandhi contro gli inglesi. E’ nella II guerra mondiale che si gioca la partita dell’imperialismo nipponico, risvegliando ovunque i movimenti indipendentisti che si affermeranno nel dopoguerra, trovandosi di fronte le vecchie potenze coloniali europee e la nuova potenza globale americana. Ed è in Asia che la guerra si chiude con Hiroshima e Nagasaki, segnale della nuova superpotenza americana e monito dei nuovi equilibri del terrore atomico della seconda metà del secolo.
Cina e India emergono indipendenti all’indomani della guerra e negli anni ’50 possono ambire a un ruolo di terza forza a livello mondiale, tentato in qualche modo nella Conferenza di Bandung del 1955 dall’alleanza tra Nehru e Zhou Enlai per dar vita al movimento dei «non-allineati». Ma la guerra fredda tende a rinchiudere i conflitti nello scontro tra le due superpotenze americana e sovietica, prima in Corea, poi a Suez, poi in Vietnam. E’ la guerra del Vietnam, giocata con incredibile sagacia equilibristica dalla dirigenza vietnamita, con un forte segno di guerra di liberazione, scuote gli schemi bipolari, fa saltare il ricatto atomico e destabilizza gli Usa al loro stesso interno, intrecciandosi con la contestazione giovanile in America e in Europa e innescando una nuova ondata di movimenti di liberazione nazionale. E’ una stagione in cui l’Asia si riposiziona al centro, infliggendo la prima sconfitta agli Usa: e l’onda lunga di questo evento non va né sottovalutata né ridotta agli accordi economici e militari conclusi nel 2005 dal Vietnam con gli Usa, in funzione di cuscinetto anti- Pechino, come suggerisce Castronovo.
I protagonisti della scena asiatica, Cina, India e Giappone, hanno seguito percorsi diversissimi nella seconda metà del ‘900 e il saggio li ricostruisce nei dettagli. La Cina maoista, in forte conflitto con il vicino indiano e in rotta con il blocco sovietico, ambisce a una leadership terzomondista proponendo un modello di sviluppo «autoctono», «contare sulle proprie forze», mentre forte è la penetrazione sovietica in India, anche in funzione anticinese. Il Giappone si prepara a rilanciare la sua sfida sul fronte economico dopo essersi ripreso, grazie agli aiuti americani, dalla sconfitta. Sulla sua scia si muoveranno le «piccole tigri» asiatiche, affermandosi spettacolarmente negli anni ’80.
Sarà la presa d’atto del fallimento del modello maoista e di quello sovietico a preparare la strada all’irruzione economica della Cina e dell’India sul mercato mondiale, ciascuna con moduli propri, che non ripercorrono affatto la via giapponese, in stallo negli anni ’90 insieme alle tigri asiatiche; e se il capitalismo cinese è ibridato con un modello socialista autoritario, quello indiano lo è con una democrazia parlamentare di stampo britannico che si giustappone alla sopravvivenza delle caste.
Il crollo del sistema sovietico nel 1989 apre vuoti di potere e controllo nell’area asiatica, incrementando i processi endogeni di sviluppo, mentre in Europa complica il disegno lineare di Delors di integrazione economico-politica accelerata, ponendo all’ordine del giorno un inatteso «allargamento» verso est.
Gli ultimi capitoli mettono a fuoco le variabili e le incognite di oggi: la fondamentale questione delle risorse energetiche per far fronte ai ritmi di sviluppo vertiginosi di Cina e India; la sostenibilità dell’emersione dell’Asia in termini di equilibri degli ecosistemi planetari e di equità sociale; i conflitti etnico-religiosi già presenti in India e che la Cina paventa, in particolare nelle province dell’Asia centrale. Assume di nuovo attualità il «grande gioco» per la supremazia in Asia centrale, snodo delle risorse petrolifere e si riaffaccia sulla scena asiatica la Russia di Putin; più sfocata invece è l’attenzione per il posizionamento delle nuove potenze asiatiche rispetto al conflitto mediorientale che assorbe Europa e Usa. Ma il saggio non tralascia di mettere in luce l’ambiguità della strategia Usa nei confronti della Cina, da cui ormai dipendono le quotazioni del dollaro. Il governo americano, che oscilla tra soft power e hard power nei confronti di Pechino, in un contesto di «equilibrio del terrore finanziario», non manca di considerare la superpotenza emergente cinese come il prossimo competitore strategico.
Ma nelle conclusioni Castronovo vuole soprattutto dare una sferzata all’Europa, che vede in catalessi a livello politico dopo la crisi del processo costituzionale, in anchilosi sul piano economico e totalmente dipendente sul fronte energetico. Il Vecchio Continente, convitato di pietra sulla scena mondiale, può evitare la retrocessione solo rilanciando l’integrazione politica, acquisendo una maggiore propensione al cambiamento (innovazione, investimento in ricerca, ma anche riforma del welfare) e avvalendosi delle nuove opportunità che la crescita dei paesi emergenti sta creando. Altrimenti «il verdetto finale della partita intrapresa dall’Europa con l’Asia cinque secoli fa» è già scritto a chiare lettere. Ma in un mondo globalizzato e imbricato, in cui i cinesi di Prato si rivelano tra le forze più dinamiche in Toscana e le griffes italiane sono made in China, ha ancora senso giocare partite intercontinentali?