Europa, avanti piano contro razzismo e xenofobia

Dopo sei anni di lunghe e infruttuose discussioni, ieri i ministri della giustizia dei 27 hanno trovato un accordo sulla direttiva contro il razzismo e la xenofobia. E così, non appena il testo entrerà in vigore, ossia non più tardi della fine del 2009, l’incitamento all’odio ed alla violenza razziale ed il negazionismo dei genocidi internazionalmente riconosciuti saranno delitti in tutta l’Unione europea con pene minime che andranno dall’uno ai tre anni di carcere. «Oggi siamo riusciti a dire la parola finale – ha affermato il commissario alla giustizia ed interni Franco Frattini – non ci saranno più paesi dell’Ue in cui si potranno ripetere azioni di intolleranza etnica o di antisemitismo, purtroppo un fenomeno molto sviluppato».
Sulla questione sensibile della libertà di espressione, Frattini non ha dubbi: «Siamo riusciti a riunire il rispetto alla libertà di espressione con il castigo di qualsiasi azione criminale, non delle idee. Puniremo gli atti, i comportamenti, le incitazioni a offendere o uccidere in maniera concreta». Spiegazioni che non fugano tutti i dubbi legati all’effettiva tutela delle libertà individuali, anche perché poi, di fatto, la direttiva lascerà alla «sensibilità» e tradizione di ogni sistema giuridico e giudiziario l’azione penale. L’accordo prevede inoltre delle salvaguardie a difesa della libertà di espressione qualora questa sia riconosciuta costituzionalmente da uno Stato membro, un punto espressamente preteso dai paesi nordici ed in particolare dalla Svezia.
Non sono state invece accontentate Estonia, Lituania e Polonia che volevano assolutamente inserire il delitto di negazionismo dei crimini del comunismo e dello stalinismo. I tre, dopo aver minacciato il veto, hanno alla fine fatto marcia indietro ed hanno firmato, anche se le due Repubbliche baltiche solo con riserva. I ministri di Vilnius e Tallin dovranno sondare i propri governi e parlamenti per avere il sì definitivo alla direttiva in quanto il loro mandato prevedeva tassativamente i riferimenti a Stalin ed al comunismo. «È molto importante – dice ancora Frattini – la decisione di una rilettura dei crimini delle due grandi dittature, quella nazista e quella comunista per questo ho offerto l’organizzazione di un’audizione pubblica europea che si terrà prima nei paesi baltici e poi in Slovenia durante la sua presidenza (primo semestre 2008, ndr)». L’obiettivo dichiarato è quello di arrivare ad un «libro verde sui crimini orribili delle dittature stalinista e hitleriana», un «risultato politico molto importante», insiste Frattini. Quello non dichiarato è di arrivare a paragonare nazismo e comunismo.
E fuori dal testo rimane anche il riferimento ai simboli del nazismo, e più in particolare alla svastica. L’idea, oltre a sollevare l’immancabile paragone con la falce e il martello, aveva fatto imbufalire la comunità indù, che da 5.000 anni venera la croce uncinata tra i propri simboli sacri. E sempre rimanendo alla religione, le pressioni di Londra hanno prodotto un classico non-senso europeo. Il Regno unito ha infatti accettato di inserire un richiamo all’incitamento all’odio religioso solo se questo va associato ad un riferimento alla nazionalità o alla razza, in modo da eliminare eventuali problemi in Irlanda del Nord. Il risultato è che non sarà punito chi grida «bisogna uccidere gli ebrei», ma solo chi afferma «uccidiamo gli ebrei di Israele».
Questa (strana) intesa arriva dopo un negoziato duro e serrato, che va avanti dall’inizio del millennio e che si è concluso esclusivamente grazie alla ferma volontà della presidenza tedesca di mettere il punto finale a questa direttiva, tanto da farne uno dei cavalli di battaglia del suo semestre. Berlino si è data da fare anche perché nel testo era stato inserito, in corsa, il delitto di negazionismo dei genocidi e dei crimini contro l’umanità riconosciuti da un Tribunale internazionale (e si cita testualmente il Tribunale di Norimberga), una formulazione generica che punta soprattutto a incriminare chi nega l’Olocausto, come già previsto dalla giurisdizione di una decina di paesi Ue. Prima, per un lustro, era stato l’ex guardasigilli Roberto Castelli a mettersi in luce con una costante melina sul testo. Castelli aveva posto a più riprese il veto italiano anche per via dei guai giudiziari di vari membri del suo partito, da Bossi a Gentilini.