*Ex Ministro Esteri del Brasile
I leader (nel caso del Brasile, la leader) dei cinque paesi emergenti che, con l’adesione del Sudafrica, ora compongono i Brics si sono riuniti a Sanya, in Cina lo scorso 14 aprile. L’entrata del Sud Africa è benvenuta per portare l’Africa nel gruppo, la cui crescente importanza sulla scena internazionale non è più controversa. Evidentemente, i pessimisti di professione continuano a sottolineare le diversità di interessi tra i membri dei Brics, esprimendo in realtà il proprio disagio per la creazione di questo grande spazio di cooperazione tra paesi fino a poco tempo fa considerati sottosviluppati.
Il mondo sta assistendo all’ascesa dei Brics con un misto di speranza (di dividere oneri) e paura (di condividere decisioni). Con la nascita dei Brics, giunge al termine l’era in cui due o tre potenze occidentali, membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, potevano incontrarsi in una stanza e uscire da lì parlando a nome della “comunità internazionale”.
Ho avuto l’opportunità di partecipare ai primi movimenti che dettero origine alla nascita dei Bric (quindi senza la “S”). O, per usare una terminologia che prendo in prestito dalla filosofia, al passaggio del Bric da una realtà “in sé” (identificata dall’analista di mercato Jim O’Neill) ad una realtà “per sé”. Ci sono voluti quattro o cinque anni perché questi paesi assumessero un’identità di gruppo. Il primo passo fu l’invito del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, perché i ministri degli esteri dei quattro paesi si riunissero a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Fu un incontro poco strutturato. La vera interazione, ammesso che si ebbe, si limitò al ministro russo e a me.
L’anno successivo, presi l’iniziativa di invitare i miei colleghi per un pranzo di lavoro presso la residenza ufficiale del nostro rappresentante permanente all’ONU, Maria Luiza Viotti. Fu durante questo incontro che la decisione fu presa, inizialmente con qualche riserva da parte cinese, di convocare una riunione da tenersi in uno dei paesi, e non come una semplice appendice del pesante programma dei ministri durante l’Assemblea Generale.
Così, nel maggio 2008, si tenne la prima riunione formale del Bric nella fredda città russa di Ekaterinburg alla frontiera tra Europa e Asia, con la dichiarazione finale e tutto il resto, ma ancora a livello di ministri. L’anno seguente, ebbe luogo sempre in Russia, il primo vertice dei leaders. Prima di ciò, ci fu un tentativo, che alla fine si limitò ad una foto, di una riunione dei quattro in Giappone a margine del G-8 con la partecipazione di alcuni paesi in via di sviluppo. Nel 2010, il vertice si svolse a Brasilia e motivò la Tv franco-tedesca ARTE a farvi un documentario televisivo. E ora abbiamo avuto il vertice a Sanya, in Cina.
Che si nota in tutto questo processo? In primo luogo, ovviamente, il consolidamento del gruppo. Quando il Brasile propose di ospitare l’incontro dello scorso anno, l’offerta fu accettata quasi come un gesto di cortesia al Presidente Lula, perché era alla fine del mandato. Ora, senza che niente di equivalente accada, è stato fissato il prossimo vertice per l’anno venturo in India. In breve, i leader dei Brics non hanno più dubbi circa l’importanza di incontrarsi per discutere della cooperazione tra di loro e di questioni d’interesse globale, dalla finanza al commercio, dall’energia ai cambiamenti climatici. Più significativamente, vincendo l’inibizione già citata, in particolare da parte della Cina, non hanno esitato ad affrontare le questioni relative alla pace e alla sicurezza internazionale. Sulla Libia, ribadendo il desiderio di trovare una soluzione “con mezzi pacifici e con il dialogo”.
Più in generale, riferendosi al Medio Oriente e Africa, affermando che l’uso della forza deve essere evitato. Come ha rilevato il commentatore del Financial Times, Gideon Rachman (anche se non condivido la sua analisi delle motivazioni), l’intervento anglo-franco-americano in Libia potrebbe essere “l’ultimo urrah!” di quello che lui chiama “interventismo liberale”. Ricordando che Brasile, India, Russia e Cina si sono astenuti dalla risoluzione che ha autorizzato “tutte le misure necessarie” per stabilire la no-fly zone e la protezione della popolazione civile, Rachman afferma che questi paesi – le potenze economiche emergenti – sono scettici sul concetto. Inoltre, se il Consiglio si riunirà nuovamente in materia, è molto probabile che il Sud Africa, matricola tra i BRICS, segua i suoi nuovi compagni di gruppo, dovendo anche tenere in considerazione le posizioni più recenti dell’Unione Africana. Ciò lascerebbe la coalizione che ha sostenuto l’uso della forza dipendente da un voto unico per qualsiasi nuova azione voglia intraprendere.
Bene … quali sono le conseguenze di tutto questo? È che con o senza riforma del Consiglio di Sicurezza non sarà più possibile per lungo tempo che un gruppo di potenze occidentali decreti qual è la volontà della comunità internazionale. Allo stesso modo non è più possibile per il G-7 (il G-8, dal punto di vista economico, è una finzione) dettare le regole che al FMI, alla Banca Mondiale o al WTO spetterebbe di implementare.
Chiaramente, fintanto che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu non sarà effettivamente riformato, tutto sarà più complicato e le grandi potenze che uscirono vittoriose dalla seconda guerra mondiale – in particolare gli Stati Uniti – continueranno a contrattare il sostegno di Russia e Cina con concessioni contingenti, come in occasione dell’adozione di sanzioni contro l’Iran. Ma il compito sarà sempre più difficile. L’emergere del Bric nel formato attuale è una vera rivoluzione nell’equilibrio mondiale, che diventa più multipolare e più democratico. A volte, le rivoluzioni (mi riferisco a quelle vere, ovviamente) richiedono tempo per istituzionalizzarsi. Ma ciò, inevitabilmente, finisce per verificarsi.