Esclusioni mortali

Hamas ha vinto le elezioni amministrative in Palestina: anche a Nablus roccaforte storica del pensiero laico, ha raccolto 12 su 15 dei seggi comunali. Intanto i raid israeliani contro Gaza continuano e gli unici ostacoli alle elezioni sono venuti dai posti di blocco israeliani. Due giorni prima, la guida della rivoluzione islamica Ayatollah Khameini aveva invitato Hamas ad abbandonare l’illusione della via delle trattative con il nemico sionista e della tregua, essendosi rilevate controproducenti con l’unico risultato di consolidare l’occupazione israeliana e l’affermazione della politica dei fatti compiuti che ha caratterizzato la condotta di Israele durante i 56 anni della sua esistenza. Khamenei intende dire che l’illusione dell’efficacia delle trattative ha nei fatti messo in discussione la legittimità della lotta del popolo palestinese contro l’occupazione militare per la propria libertà. Contemporaneamente il presidente iraniano Ahmadinejad è tornato sulla questione della Shoa, defindendola «un mito». Questo suo accanimento dovrebbe indurre tutti a riflettere. Non si tratta più di una distrazione, ma temo che con questo esprima una nuova strategia nel confronto, ormai mortale, che da lunghi anni sconvolge il Medio Oriente, dove Israele e l’alleanza politico militare occidentale guidata dagli Stati uniti l’hanno fatta da padrone assumendosene così la maggiore parte delle responsabilità .

Non condivido l’invito dell’Ayatollah Khamenei ai palestinesi, perché trasformerebbe il mio popolo in carne di macello dentro un conflitto regionale e mondiale più grande di noi. Spegnendo dunque quel miraggio di speranza che abbiamo, obbligatoriamente, il compito di alimentare, per non soccombere definitivamente all’aggressione spietata e violenta di Israele. Che da una parte, nel tempo, ci sta distruggendo, e dall’altra parte ci costringe a una risposta violenta che accelera e giustifica questa distruzione e mina alla base la peculiare storia palestinese, incentrata sull’inclusione e sulla convivenza.

Allo stesso tempo non posso però smentire la tesi della guida della rivoluzione islamica sulla utilità reale della strategia delle trattative avvenute fino ad oggi, perché la nostra esperienza con Israele negli ultimi 12 anni dà più ragione a lui che non a me. Al punto che posso soltanto confortare le nostre tesi con la speranza ogni giorno mortificata dalla politica israeliana, dalla guerra permanente della amministrazione americana e dalla sordità della comunità internazionale.

Invece per le dichiarazioni sulla Shoah – non un mito, ma un genocidio del quale è responsabile l’Occidente, questo è il punto – mi sento mortalmente offeso proprio come palestinese che ha subito la Nakba (la cacciata). Di fronte a drammi di queste dimensioni, ma anche infinitamente più macroscopici dei nostri, bisogna innanzitutto inchinarsi, fermarsi e dire: mai più. Perché nessuna ragione di stato o impero può giustificare le grida di dolore delle donne e degli uomini che ormai riempie il cielo e la terra. Un grido di dolore che, per mancata risposta di verità e colpevole rimozione, rischia, per la morte della politica nel suo senso più alto, di trasformarsi in grida di vendetta e tramutarsi alla fine in una vendetta più sorda e spietata in quanto non supportata da mezzi tecnologici. Perché non si può rispondere a una negazione con un’altra negazione. La scelta della guerra come mezzo per risolvere i complicati problemi del Medio Oriente che Israele caldeggia ha dimostrato tutto il suo fallimento in Iraq, e ora stanno «lavorando» per l’estensione di questa guerra alla Siria e all’Iran .

Nella stessa direzione va la proposta di escludere l’Iran dai Mondiali di calcio, perché l’attuale regressione della situazione iraniana è proprio il frutto dell’isolamento di Tehran. E produrrebbe un ulteriore isolamento, basato sul criterio dell’indignazione selettiva e sul principio di due pesi e due misure. Rafforzando il radicalismo che sta dilagando.

L’Iran si sente ed è di fatto circondato dalle truppe americane e dai suoi alleati dall’Iraq e dall’Afghanistan, si vede negare un suo diritto sancito dalla legalità internazionale di sviluppare la tecnologia nucleare dichiaratamente per uso civile con tutte le garanzie previste dagli organismi internazionali, mentre a Israele, l’unico paese realmente in possesso di testate atomiche nell’area mediorientale, è permesso tutto nel silenzio della comunità internazionale e anzi con accordi – India, Stati uniti e paesi europei – di cooperazione firmati in questo periodo in questa campo pericoloso.

La risposta non può che essere l’azzeramento di tutte le armi di distruzione di massa che, fino a prova contraria, fino ad oggi sono state usate esclusivamente dagli americani o per effetto di una licenza da loro rilasciata a qualche alleato di circostanza o contro il nemico di turno.

Noi abbiamo ragione a sostenere che le trattative e la via politica, sulla base di una legalità internazionale che riconosce una pari dignità a tutti, rappresentano l’unica strada per rendere il pianeta ancora vivibile. In Medio Oriente, lo si capiva da tempo, non servono altre guerre per riportare stabilità, democrazia, libertà e sicurezza per tutti, ma è decisivo ripartire dal processo di pace in Palestina obbligando Israele a rispettare gli impegni derivanti dal diritto internazionale che puntualmente in tutte l’occasione ha violato. L’accanimento di Israele contro la Palestina, contro chi ci sostiene, da parte di molti politici (che magari in privato ci dicono cose diverse da ciò che sostengono in pubblico, dando la colpa agli americani) è un accanimento contro la speranza di pace. E alla fine contro la stessa Israele.

* Primo segretario della Delegazione palestinese in Italia