Epifani scuote il Pd: «Debole sul lavoro»

Guglielmo Epifani strappa diversi applausi alla platea Ds, al congresso di Firenze. Il segretario generale della Cgil piace particolarmente quando difende il lavoro delle donne, su cui il governo vorrebbe abbattere (ieri una smentita del ministro Damiano) un nuovo piano di tagli, attraverso l’innalzamento dell’età pensionabile. Ma il nucleo del discorso politico di Epifani sta tutto in un passaggio, quando fa notare al nascente partito democratico due punti che non lo convincono, soprattutto se, come hanno detto Fassino e Rutelli nelle loro relazioni, il Pd si candida a essere un «partito del lavoro». Il primo: «Non ci può essere equidistanza tra lavoro e imprese, non ci può essere indifferenza», fa notare, ripetendo un concetto già ribadito più volte e che evidentemente non fa breccia nello zoccolo «riformista» diessino. E poi: «E’ vero che il consumatore ha una sua centralità, ma questa non si deve contrapporre a quella del lavoro: si deve cercare un’alleanza moderna tra consumatori e lavoratori». E ancora: «I diritti sono anche collettivi, non basta parlare solo di quelli individuali».
Insomma, la conclusione del segretario della Cgil va a colpire nel profondo l’architrave politica del partito democratico, il suo «preambolo sui valori», quel manifesto dei riformisti tanto pazientemente tessuto dai saggi di Ds e Margherita (tra loro, i competenti in materia Tiziano Treu e Cesare Damiano), mettendone in risalto la debolezza: sul tema del lavoro «il preambolo dei valori è molto debole», nota tranchant, e «si dovrebbe aprire un confronto con la Cgil e gli altri sindacati» per non oscurare la centralità del lavoro.
Epifani non aderisce, almeno per il momento, al Pd, ma neppure alla mozione Mussi, quella degli «scissionisti» verso un cantiere delle sinistre: i giornali si sono esercitati nelle ultime settimane cercando di individuare il profilo della Cgil, scoprendo che la segreteria confederale è divisa in equilibrio tra «fassiniani» e «mussiani», e che il segretario non si sbilancia. Ma nonostante questo non si dice indifferente: la scelta di dare vita al Pd «è impegnativa e, va riconosciuto, anche coraggiosa, perché presenta rischi». «E’ importante non eludere la qualità del riformismo che deve interessare il Pd come anche gli altri cantieri aperti – ha spiegato – E non ci potrà mai essere indifferenza reciproca» tra la Cgil e il campo del centrosinistra, anche perché «il campo su cui lavoriamo è lo stesso». Ma «una Cgil autonoma ha il dovere fondamentale di ricostruire dal basso una democrazia della rappresentanza, con Cisl e Uil». Epifani ha detto la sua sulla collocazione internazionale: «L’appartenenza al Partito socialista europeo è una cartina di tornasole: sarebbe sbagliato se il Pse non vedesse al suo interno da subito il Pd». Sul laicismo il leader Cgil ha ricevuto altri applausi: per garantire i diritti civili «non ci possono essere 2, 3 o 4 idee di laicità: ce n’è una sola».
Ma Epifani ha avuto molto da dire (e da ridire) anche sul governo Prodi: «C’è un malessere sociale che si incontra nei luoghi di lavoro, tra i pensionati, che diventa disincanto e inquietudine per i tanti che hanno votato il cambiamento». E «anche se alcune cose buone sono state fatte», «c’è un calo di consenso evidente, un’esasperata divisione nella maggioranza, con ministri che si rincorrono e si contraddicono, una maggioranza pressoché inesistente al Senato che rende tutto più difficile».
E allora giù con l’elenco di cose che non vanno: «Troppe promesse non sono state mantenute. C’è confusione sui ticket sanitari, una riduzione fiscale per molti non realizzata, i contratti pubblici che si devono conquistare ogni volta da capo e quelli privati difficili da sottoscrivere»; infine «scelte inconcepibili sull’assenza di centralità e investimenti su scuola, università e ricerca».
La conclusione è un messaggio diretto a Prodi, e un’«ipoteca» sui tavoli aperti a Palazzo Chigi: «Il presidente del consiglio ha detto cose importanti sul fatto che in Italia i salari sono troppo bassi e che c’è troppa ingiustizia nella distribuzione del reddito. Ora però il governo sia conseguente. Se lo sarà – è l’avvertimento – la Cgil è pronta a firmare ogni accordo. In caso contrario, si potrebbe avere un’altra conclusione, quella in cui gli accordi non si firmano».