In fondo, che cos’è la Fiom? Solo uno dei tanti tasselli che disegnano il puzzle della Cgil, come «la scuola, gli edili, il pubblico impiego»… E perché no, i pensionati, i chimici, i tessili, magari il Nidil. Nell’affermazione di Gianni Rinaldini, che Epifani ha già sentito da Claudio Sabattini, secondo cui «la Fiom senza Cgil non sarebbe la Fiom, così come la Cgil senza la Fiom non sarebbe la Cgil», il segretario generale Cgil vede il rischio di un rapporto a due che metterebbe in ombra «le esperienze cresciute in questi anni». E lo dice uno che si è «battuto contro l’isolamento della Fiom dopo due contratti separati». Non è stato tenero Epifani, e non ha risparmiato qualche punta polemica. L’avvertimento è che, se nonostante lo svolgimento unitario del congresso, senza documenti contrapposti grazie alla condivisione dell’impianto politico, dovesse prevalere una contrapposizione sui gruppi dirigenti, a quel punto sarebbe necessario verificare la consistenza della condivisione politica del progetto. Categoria avvisata… Peccato che a determinare il conflitto sulle percentuali e i gruppi dirigenti sia il mancato riconoscimento del consenso raccolto dalle tesi alternative di Rinaldini. Un consenso che esprime un nuovo pluralismo. Ma c’è un altro pluralismo, sottoscritto all’unanimità dalla segreteria Cgil prima del congresso, che prevede il riconoscimento del 20% raccolto 4 anni fa dalla componente Lavoro e società, che nel frattempo ha aderito alla maggioranza di Epifani senza però sciogliere la componente, anzi presentando a sua volta una tesi alternativa che non è andata oltre il 10%. Di quale pluralismo sarà garante il segretario Epifani votato da tutti? Epifani ha difeso la lettera dei 12 segretari, rispondendo implicitamente che il pluralismo che difenderà è quello di quattro anni fa, al tempo dell’accordo Cofferati-Patta. Non è la prima volta che la Fiom finisce sotto osservazione confederale, è già capitato in altre occasioni dalla fine degli anni Sessanta. Viene spontaneo domandarsi, come fanno molti delegati, che cosa sarebbe capitato se la Fiom non fosse arrivata al congresso forte di un contratto firmato – uno dei più difficili e dunque più importanti. Grazie soprattutto alla straordinaria mobilitazione dei lavoratori, ma anche alla solidità del gruppo dirigente dei meccanici.
Il fatto è che la Fiom osa mettere in discussione troppe certezze e troppe abitudini, si occupa di troppe faccende dalla Val di Susa (ieri al congresso è intervenuto il presidente della della bassa Val di Susa, Antonio Ferrentino, molto applaudito e che probabilmemte conquisterà una mozione unitaria di sostegno alla lotta No-Tav) ai Social forum, interviene sulla politica e ripete che «non abbiamo governi amici». Tra poche settimane si vota ed è auspicabile che il governo passi di mano all’Unione. Allora sì che l’autonomia della Cgil verrà messa alla prova e la Fiom non si stanca di ricordarlo a Epifani. Come ha fatto Sandro Bianchi, prendendo la parola mezz’ora prima di lui, senza peli sulla lingua: «Senza le tesi di Rinaldini (su democrazia e contratti, ndr) questo congresso si sarebbe potuto titolare “Aspettando Prodi”».
Com’era prevedibile, il centro della giornata congressuale di ieri è stato catturato dall’intervento del segretario generale della Cgil. Il quale – questa è almeno l’opinione di tantissimi delegati – ha spiegato il contenuto delle tesi a chi le aveva già discusse e approvate in numerose sedi, dai congressi territoriali, a quelli regionali, a quello nazionale di categoria. Epifani ha ripercorso la sua analisi della fase, insistendo sulla precipitazione della situazione internazionale a partire dalla vicenda palesinese, per continuare con la guerra in Iraq e le minacce iraniane. «La guerra non può essere la soluzione e mi aspetto dal nuovo governo, qualora il centrosinistra dovesse vincere le elezioni, una svolta radicale». Di guerra ha parlato anche un applauditissimo Gino Strada, fondatore di Emergency, che ha ricevuto la tessera ad onorem della Fiom. Fiom con cui ha in comune un’idea di democrazia che non c’è senza eguaglianza, che non si limita a un voto ogni 5 anni. Poi Epifani ha raccontato l’Italia «declinata», in compagnia del solo Portogallo e a differenza del resto d’Europa che con la locomotiva tedesca cresce ed esporta. Qualcuno poi sussurrerà che anche in Germania i diritti del lavoro sono variabili dipendenti dall’impresa, così come da noi. L’analisi di Epifani individua le responsabilità del governo ma anche dei padroni che scoprono in ritardo che l’Italia ha un problema di produttività, peccato che la ricetta confindustriale sia sempre la stessa: l’abbattimento dei costi del lavoro, rimuovendo le cause della crisi industriale che per Epifani stanno nella mancanza di investimenti per lo sviluppo. Diventa determinante il ruolo del pubblico per dare una direzione allo sviluppo. Se vincerà il centrosinistra, la Cgil andrà a un confronto per stringere il governo verso una direzione nuova: servono subito riforme a vantaggio di chi in questi anni si è impoverito.
Epifani era chiamato dalla relazione e dal congresso a dire la sua sulla presunta centralità della riforma del sistema contrattuale, cara a Confindustria, a Cisl e Uil e a una parte consistente dell’Unione. Si è parlato – l’ha fatto per esempio Durante, il leader della minoranza Fiom che si rifà alle tesi di Epifani – di concertazione e patto sociale, di scambio, come se dopo 13 anni di impoverimento dei salari i lavoratori dipendenti avessero la possibilità di dare ancora qualcosa. Ne hanno parlato Rinaldini nella relazione e molti interventi al congresso in direzione opposta a quella di Durante. L’aveva posta in modo netto Sandro Bianchi: «Parlare di scambio o patto ora? Vogliamo forse perdere le elezioni?». Epifani ha preferito rinviare la questione per parlare di un tema condiviso da tutti: il patto fiscale necessario per ricostruire un minimo di giustizia e risanare le ferite provocate dall’odiosa politica di Berlusconi. Epifani ha solo precisato che se finora non sono stati combinati pasticci è grazie a lui stesso che non ha esitato ad abbandonare il tavolo con Confindustria. E ha ripetuto che a confronto coi padroni si potrà andare solo dopo il raggiungimento di un accordo con Cisl e Uil.
Il contratto dei meccanici aiuta la Cgil? Certo, ma come e non più degli altri contratti firmati, dice Epifani che ha ritenuto di non dover valorizzare il metodo preteso dalla Fiom – la democrazia, il voto finale dei lavoratori.
Il congresso si chiuderà oggi con la votazione dei documenti politici e l’elezione dei nuovi gruppi dirigenti. E’ tutt’altro che scontata una conclusione unitaria e intanto sono state raccolte le firme per presentare liste contrapposte. Quel patto dei 12 che garantisce il pluralismo del passato e trascura nuove sensibilità e nuove pratiche democratiche, non aiuta.