Emergono responsabilità USA

Lo tsunami era stato visto da centri di rilevamento americani. Ma nessun allarme inviato. Silenzio anche nei paesi colpiti: per non allarmare il turismo

Sembra la sceneggiatura di un film catastrofico di Hollywood, in cui le autorità, per stupidità e gretti interessi, si rifiutano di lanciare l’allarme mentre si prepara il disastro. Questa volta però è la realtà: il numero di vittime del maremoto avrebbe potuto essere notevolmente ridotto se le competenti autorità non fossero state così irresponsabili. Questa è la sequenza degli avvenimenti, ricostruita attraverso i bollettini ufficiali e testimonianze pubblicate ieri dal Los Angeles Times. Appena si verifica il terremoto sul fondo marino nei pressi di Sumatra, esso viene rilevato dalle sofisticate apparecchiature del Pacific Tsunami Warning Center, una agenzia governativa statunitense con sede nelle Hawaii. Suo compito, in caso di possibile tsunami, è quello di «avvertire la maggior parte dei paesi del Pacifico, così come le Hawaii e altre aree di interesse statunitense». Quindici minuti dopo il terremoto, il centro diffonde via e-mail e fax il seguente bollettino (reperibile nel sito Internet): «Il terremoto si è verificato al di fuori del Pacifico. Non esiste alcuna minaccia di uno tsunami distruttivo». I responsabili del centro si sentono tranquilli: il terremoto è avvenuto al di fuori dell’area di loro competenza. Intanto l’onda del maremoto ha percorso nell’Oceano Indiano circa 200 km. La stessa diagnosi viene fatta dallo U.S. Geological Survey’s National Earthquake Information Center, il centro statunitense di informazione sui terremoti che centralizza via satellite i dati di 350 stazioni di rilevamento sparse nel mondo ed è collegato al centro di monitoraggio degli tsunami. Dopo però esso diffonde un secondo bollettino in cui aggiunge che «c’è possibilità di uno tsunami vicino all’epicentro». Avverte contemporaneamente la Casa bianca e il Dipartimento di stato. Intanto l’onda del maremoto avanza verso la Thailandia.

Qui le competenti autorità, collegandosi con il centro statunitense di informazione sui terremoti, apprendono che c’è «possibilità di uno tsunami» ma solo «vicino all’epicentro». Data l’autorevolezza della fonte, si sentono tranquillizzati. Concludono perciò che non è il caso di lanciare un allarme via radio e televisione per evacuare le coste: un falso allarme in piena stagione turistica sarebbe molto costoso. Si limitano quindi a diffondere, un’ora e 20 minuti dopo il terremoto, un bollettino in cui si avverte che «il tremore potrebbe sentirsi anche in Thailandia». Lo stesso avviene nello Sri Lanka, dove i responsabili del Dipartimento meteorologico sono anch’essi tranquillizzati dal bollettino statunitense. Dopo però, mentre arrivano le prime notizie dall’Indonesia, cominciano ad allarmarsi. Il primo impulso è quello di lanciare l’allarme attraverso la radio e la televisione. Nessuno si vuole però prendere la responsabilità di farlo, nel timore di commettere un errore che comprometterebbe la carriera. Mentre stanno ancora discutendo, un’ora e 45 minuti dopo il terremoto, l’onda del maremoto, che ha già colpito le coste thailandesi, si abbatte anche su quelle dello Sri Lanka.

Nel frattempo, la base aerea indiana sull’isoletta di Car Nicobar, a nord-ovest di Sumatra, viene investita dallo tsunami che provoca un centinaio di morti tra i militari. Dalla base riescono però a lanciare un messaggio, che raggiunge la base di Tambaram a Madras in India. Venti minuti dopo, partono gli aerei con i soccorsi per i militari superstiti di Car Nicobar. I responsabili militari non avvertono però le autorità civili. «Compito dell’aeronautica – dichiara in seguito un portavoce – è quello di combattere una guerra, non di predire uno tsunami». E’ un impiegato del centro di sismologia di Madras, ignaro di quanto già avvenuto a Car Nicobar, ad avvertire le autorità di New Delhi della possibilità di uno tsunami. L’onda del maremoto è a un’ora dalle coste indiane. Ci sarebbe quindi tutto il tempo per lanciare l’allarme ed evacuare le coste. Nessuno però a New Delhi prende sul serio l’avvertimento dell’oscuro impiegato, dal momento che il prestigioso centro statunitense di informazione sui terremoti assicura che c’è «possibilità di uno tsunami», ma solo «vicino all’epicentro».