Gino Strada e il suo staff non solo possono tornare in Afghanistan, perché non corrono alcun rischio ma sono i benvenuti. Le parole di Saleh, il capo dei servizi che ha tacciato Emergency di gruppo contiguo ad Al Qaeda? Un’opinione personale e parole forse male interpretate. I rapporti tra Italia e Afghanistan? Nessuna ombra, fiducia e rispetto.
Getta acqua sul fuoco il dottor Jalali, autorità scientifica e medica indiscussa in Afghanistan e fratello dell’ex ministro degli interni del primo governo ad interim post talebano. Lo incontriamo alla periferia di Kabul dove siamo ospiti, con lui, della famiglia di Keftan Haji, un anziano pashtun che ci mette a disposizione il suo prezioso giardino. Un’oasi a pochi chilometri dal centro caotico della capitale e nel quale l’Afghanistan non sembra un paese in guerra. Lontana, grazie anche agli alti muraglioni di fango e paglia, dai rumori dei cingolati e dai bollettini che, ogni giorno, riportano un bilancio di sangue (ieri sono rimasti uccisi due soldati della Nato e decine di presunti talebani). Ci tiene a sottolineare, il dottor Jalali, che sta parlando a titolo personale. Ma l’autorevolezza del personaggio e il suo ruolo pubblico sono un segnale chiaro che molti in Afghanistan vogliono chiudere il brutto capitolo apertosi con la dipartita dello staff internazionale di Emergency.
Dopo l’arresto di Hanefi forse Emergency ha pensato a rischi per il personale, forse per lo stesso Gino Strada.
Nessuno ha chiesto ad Emergency di andarsene e anzi io dico che deve tornare. È stata una decisione frettolosa e il popolo afgano chiede che ritorni per il grande lavoro che ha fatto a Kabul, nel Panjshir a Helmand. Rischi? Nessuno e chi mette in giro queste voci le ha solo fabbricate per qualche altro scopo.
Eppure questa vicenda rischia di incrinare i rapporti con l’Italia.
Assolutamente impossibile. Lei sa che l’Italia ha ospitato due nostri re. Prima Amanullah (obbligato ad abdicare nel 1929, muore in Italia nel 1960 ndr) e poi Zahir Shah. Quando si verifico il colpo di stato a Kabul (nel 1973 da parte di Daud ndr), Zahir Shah si trovava a Londra. Sarebbe potuto rimanere lì, ma scelse l’esilio in Italia che non solo si disse disponibile ad ospitarlo, ma si dichiarò onorata della scelta. Crede che siano cose che si possono dimenticare? Io le dico che questa vicenda non intacca minimamente le relazioni tra i due paesi. È la mia posizione personale, certo, ma ne sono sicuro.
Però le dichiarazioni di Saleh equiparavano Emergency a un gruppo terroristico. Parole pesanti.
Io non ho visto e non ho letto queste dichiarazioni che sono state riportate dalla stampa e spesso può accadere che vengano riportate non esattamente o in modo fuorviante.
Sono apparse su uno dei maggiori quotidiani italiani, il Corriere della sera…
Come le ho detto non ho visto né analizzato questo articolo e comunque, se anche fosse, io le dico che si tratta di una dichiarazione a titolo personale. Non è una dichiarazione del governo. Piuttosto le voglio affidare un messaggio…
Lo faccia.
Un messaggio che è mio personale ma che mi sento di dire può rappresentare il pensiero del governo e del popolo afgano: con Emergency siamo amici e fratelli. Devono tonare, la gente li ama. Io stesso sono stato nei loro ospedali e ho visto il loro lavoro. Lavoro duro. Anche se è accaduto qualcosa di spiacevole ciò non deve andare a detrimento di Emergency e forse le parole di Saleh si riferivano a qualcuno in particolare o ad altri. Emergency deve tornare e può farlo tranquillamente.
C’è la vicenda di Rahmatullah Hanefi.
Questo riguarda le indagini, materia che non mi compete. Ma le voglio dire che per me Rahmatullah non è né innocente né colpevole fino a che la giustizia non avrà fatto il suo corso. Ed Emergency può intervenire con i suoi avvocati. Aggiungo che se Hanefi fosse colpevole, questo non per forza si dovrà riflettere su Emergency. Quando torneranno saranno i benvenuti.
Forse ci si aspetta una presa di posizione ufficiale.
Ieri sera alla televisione un portavoce del governo ha detto chiaramente che Emergency può tornare quando vuole. Non bisogna montare un caso, bisogna semmai vedere come uscirne. Con l’Italia abbiamo un ottimo rapporto. Poco tempo fa ho visitato il Prt di Herat e ho visto il lavoro di riabilitazione di scuole e strutture sanitarie fatto dai vostri soldati. E conosco il lavoro qui all’ospedale pubblico Esteqlal, dove la cooperazione civile del vostro paese è attiva: vedo che è un lavoro qualificato e sincero, umanitario, riconosciuto dalla popolazione e dal ministero.
Esclude scuse da parte di Saleh?
Non c’è bisogno di nessuna scusa. Emergency può tornare in Afghanistan anche domani.
* Lettera22