Emergency cede, via tutti da Kabul

La porta di metallo dell’ospedale di Emergency a Kabul è ancora aperta, ma a mezzo servizio. Tutto il personale internazionale – una quarantina di persone – è partito ieri mattina all’alba con un volo dell’Onu, destinazione Dubai. A presidiare il lungo manufatto di pietra e cemento nel cuore di Sha-e naw ci sono solo i locali. «E’ personale formato e ha una buona specializzazione, non abbiamo abbandonato i malati» dice Claudio Miglitta, il responsabile logistico di Emergency nel paese.
Non si chiude dunque ma Emergency sceglie di dare un segnale forte. Che riassume in un comunicato senza sfumature: «A seguito delle vergognose affermazioni del sig. Amirullah Saleh, responsabile dei servizi di sicurezza afghani, che ha definito Emergency una organizzazione che fiancheggia i terroristi e persino gli uomini di Al Qaeda in Afghanistan, facciamo appello – recita il comunicato diffuso dopo la partenza dei volontari – ai tanti cittadini afghani che hanno conosciuto il nostro lavoro», nei centri chirurgici, medici, clinici e «all’interno delle prigioni».
Dopo aver ricordato le tante operazioni umanitarie condotte dall’organizzazione, Emergency aggiunge che Kabul ricorre invece a ogni mezzo perchè si lasci l’Afghanistan: «Non solo con le terroristiche dichiarazioni di Amirullah Saleh ma anche attraverso la scandalosa e immotivata detenzione del capo del personale dell’ospedale di Emergency a Lashkargah, Rahmatullah Hanefi, che a nome di Emergency ha messo a rischio la propria vita per salvare quella altrui». Emergency è dunque stata «costretta» a ritirare temporaneamente il suo staff internazionale dall’Afghanistan per «ragioni di sicurezza». E se in futuro le strutture di Emergency non saranno più in grado di fornire gli stessi servizi, «sappiano i cittadini afghani che la responsabilità è interamente del loro governo». Vauro, la matita del manifesto che lavora con Strada, aggiunge: i sospetti dei servizi segreti pesano «come un decreto di espulsione».
Il richiamo a Rahmatullah Hanefi è il cuore della protesta di Emergency contro Kabul. Un suo uomo è in prigione. Non si da dove. Non si sa di cosa sia accusato né quando il suo caso passerà alla magistratura ordinaria. E non ha un avvocato. Già, perché questa storia del suo arresto da parte dei servizi è una rendition alla luce del sole. Non c’entrano né magistratura né polizia, ma solo la squadra di Saleh. Che, i maligni dicono, se non ha ereditato gli uomini del Khad, il potente e spietato Kgb dell’epoca filosovietica, ne ha ereditato metodi e strutture. Per ora l’unica certezza è che Rahmatullah, almeno fino alla visita della Croce rossa, non è stato torturato. Finora.
Non è chiaro l’iter cui Hanefi va incontro perché, ci spiegano, ancora molte leggi stanno passando per le commissioni parlamentari e tra queste c’è anche quella sulla giustizia. Inoltre la giurisdizione dei servizi gode di un apparato di regole speciali e segrete. Tutto a posto dunque. Se ad Hanefi fosse applicato il codice vigente, che non è ancora quello riformato ma cui si può attingere integrandolo con la nuova costituzione, avrebbe almeno i diritti minimi. Dovrebbe avere un avvocato e la magistratura avrebbe al massimo un mese di tempo per emettere il rinvio a giudizio. Ma così? La faccenda si complica sul fronte della difesa in un paese dove gli avvocati sono pochi e male organizzati. Esiste un comitato che sta cercando di costituire un ordine degli avvocati ma, proprio ieri, il parlamento ha accolto un emendamento al nuovo testo di legge nel quale si fa obbligo al nascituro albo di registrarsi presso il ministero di giustizia. Dunque sotto il diretto controllo del dicastero. Ombre su ombre.
A Kabul si registra un clima velenoso e di tensione. Le ambasciate preparano piani di evacuazione «nel caso che», i servizi dei vari paesi distribuiscono allerta in continuazione mentre da Bruxelles e da Roma arrivano pesanti avvertimenti. A Bruxelles parlano le Nazioni unite, «preoccupate» dall’aumento degli attentati kamikaze (ieri uno di questi ha ucciso otto innocenti) mentre dall’Italia i nostri 007 avvertono che la situazione in Afghanistan, «a fronte della maggiore attività delle forze anticoalizione, è rimasta sensibilmente critica». Così dice la 58/esima relazione dei servizi segreti sullo stato della sicurezza inItalia, inviata al parlamento, nella parte relativa all’intelligence militare. In particolare, battono le agenzie, i servizi segnalano una «recrudescenza dell’attività eversiva e criminale» nella provincia di Herat che «ha contribuito ad elevare il livello di rischio per i contingenti nazionali del Provincial reconstruction team» mentre «la concentrazione delle forze ostili e delle operazioni antiguerriglia nelle zone meridionali rischia di determinare una ridislocazione degli insorgenti in altre aree». Chi più ne ha ne metta.
Intanto ancora dolore. Per Ajmal Nakshbandi, di cui ieri si è svolto a Kabul il funerale. Appena arrivata, la salma è stata presa in consegna dai familiari mentre alla cerimonia funebre hanno assistito centinaia di persone. Grava inoltre su Karzai l’ennesimo dossier-ostaggi: quello che riguarda due francesi e tre collaboratori sequestrati il 3 aprile e soprattutto il più imminente, che ha già una data: lunedi scade infatti l’ultimatum dei talebani per la consegna di cinque ostaggi afghani contro altri prigionieri col turbante. Se Karzai non tratta, hanno fatto sapere, cominceranno a giustiziare il primo. Il conto alla rovescia è cominciato.

* Lettera22