La missione in Afghanistan non cambia per qualche Predator. Le caratteristiche della partecipazione italiana sono decise, i «caveat» non si discutono, e le nuove armi serviranno solo a consolidare la sicurezza del contingente. Militari e governo sono unanimi: dopo il rifinanziamento cambierà ben poco. Il contingente italiano continuerà a guidare la ricostruzione nella provincia di Herat, a far parte della brigata multinazionale di Kabul e ad essere escluso dalle operazioni nel sud. Nessuna escalation, niente guerra guerreggiata, insomma. A meno che sul terreno la situazione non cambi.
Sul terreno, in realtà, le cose cambiano rapidamente, anche se la regione di competenza italiana, al confine con l´Iran, è stata in genere più tranquilla delle altre. Ora però l´avvio dell´«operazione Achille» lanciata dalla Nato nel sud ha reso la temperatura ormai rovente, soprattutto nella provincia di Farah.
Se attorno ad Herat la presenza dei Taliban è sporadica, più a sud gli studenti coranici, pressati dall´offensiva Nato, si fanno sempre più aggressivi. Qui nei giorni scorsi è stato ferito un incursore italiano del “Col. Moschin” e proprio qui i comandi ritengono utile un maggiore controllo.
Sarà solo la mutata situazione sul terreno a imporre nuove necessità: ma per ora si parla solo di aggiustamenti. Nei giorni scorsi il generale Antonio Satta, responsabile del comando di Herat, ha ribadito che «l´armamento è adeguato alle esigenze».
Conferma il generale Giulio Fraticelli, ex capo di Stato maggiore: «E´ il profilo della missione che decide se gli armamenti sono adeguati o no». Marco Zacchera di An è convinto che il contesto sia cambiato e sottolinea la preoccupazione «che ai nostri sia garantita la protezione, visti gli accresciuti pericoli». Lorenzo Forcieri, sottosegretario alla Difesa, taglia corto: «Il nostro contingente è pronto, esattamente come gli altri. Il suo armamento è adeguato alle minacce attuali e a quelle prevedibili. Abbiamo le stesse regole di ingaggio degli altri, e anche se non partecipiamo alle azioni del sud, non siamo in Afghanistan per fare turismo».
Sulle decisioni specifiche in fatto di armi, non tutto è deciso.
I Predator. Da maggio la sorveglianza della zona dall´alto sarà fornita dagli Uav Predator, come stabilito al vertice Nato di Riga. Sono droni, aerei senza pilota dotati di telecamere in grado di vigilare su regioni molto vaste. Al contrario di quelli americani e israeliani, quelli in dotazione alle Forze armate italiane sono disarmati e quindi destinati solo al controllo dal cielo.
Gli elicotteri. Il contingente italiano dispone oggi di mezzi di trasporto Ab-212 e Ch-47 «Chinook»: l´ipotesi è quella di un rafforzamento attraverso gli A-129 «Mangusta», elicotteri d´assalto di caratteristiche molto flessibili e dotati di corazzatura, che garantirebbero maggior copertura a tutte le operazioni di terra. In discussione c´è comunque l´invio di una squadra limitata, per soli compiti di protezione, anche perché le capacità degli elicotteri sono ridotte in modo significativo dall´altitudine.
Gli aerei. A Riga l´Italia ha preso l´impegno di fornire un Hercules C-130 per i voli interni: è il classico «mulo» da trasporto, che in questo caso verrà allestito in versione superprotetta con dissuasori ed esche antimissile. Resta in discussione l´ipotesi di mandare i cacciabombardieri Amx: la Germania ne ha già schierati sei, ma Washington vorrebbe in Afghanistan anche i caccia italiani.
I mezzi di terra. Per il trasporto in sicurezza dei soldati sono già disponibili i blindati «Puma» e i nuovissimi «Lince», oltre ai più leggeri Vm blindati per le esigenze di minor impegno. Poco probabile invece l´invio degli «Ariete»: per una missione definita di peacekeeping i carri armati sarebbero senza dubbio una presenza troppo ingombrante.