Elia: «Prove di dialogo? il test è sull’art.138»

Leopoldo Elia, già presidente della Corte costituzionale, e uno degli animatori del Comitato del No al referendum, mette alcuni paletti precisi sulle possibilità di «dialogo» fra maggioranza e opposizione per eventuali mutamenti alla Carta fondamentale. Primo banco di prova, sostiene, è la modifica dell’art.138 della Costituzione, tenendo ferma la barra dell’art.139 sulla «forma repubblicana», la necessaria separazione e «bilanciamento» dei poteri. Piazza pulita, dunque dei vecchi percorsi «bicamerali», e con essi anche delle tentazioni del centrosinistra che in quella sede sosteneva, accordandosi col centrodestra, ad esempio la necessità di poteri più forti al «premier» a quello di scioglimento delle camere.
Un No ma per cambiare la Costituzione, aprendo un dialogo con le altre forze politiche, è stato il leit motiv di una parte dell’Unione nella campagna per il referendum, Poi c’è stata quella valanga di voti – ancora una volta inattesi da una sinistra che pare aver perduto il contatto con il ‘polso del paese’ – adesso che ne sarà del «dialogo» con l’opposizione sulle riforme?
Sì, si era già parlato prima di un confronto sulle riforme, e certo dopo il referendum non è che tutto sia immutabile … ma diventano più che mai pregnanti i «criteri» per mettersi alla prova, per vedere se ci sono le chances per costruire «larghe intese». La prima prova è la modifica dell’art.138, perché siano necessarie maggioranze dei due terzi – secche e/o in altre combinazioni, prevedendo un referendum, riflettendo su come hanno risolto la questione altri paesi, la Germania, o gli Stati uniti. Insomma, l’art.138 è il vero test. Naturalmente sono da rifiutare idee di assemblee costituenti, o reinvenzioni di bicamerali; ma anche di convenzioni con poteri redigenti. Il punto chiave è che il 138 va rafforzato, non derogato, che non si riapre il tormentone su un’assemblea costituente con l’idea che «il 138 non si presta per una grande riforma», ma mi pare che questa idea stia per fortuna già tramontando.
Ma secondo lei, tenendo fermi «i criteri», quali possono essere i cambiamenti che, pure, lei dice possibili?
Credo che la via migliore sia il metodo e la cultura degli emendamenti puntuali. Emendamenti, sia chiaro, non vuole dire piccole riforme, ma mutamenti importanti, come fu negli Stati uniti il 22° emendamento che sotto la presidenza Johnson vietò di eleggere un presidente Usa oltre i due mandati: una vera limitazione del potere, che fu animata dai migliori principi e cultura costituzionalista.
Ci sono già in campo per l’Unione, alcuni temi di «emendamento», il senato federale, il federalismo fiscale, il potere del premier. In realtà punti che chiamano in causa anche la riforma del Titolo V della Costituzione voluta dal precedente governo di centrosinistra….
Certo, il senato federale è un punto dirimente, che non è ancora mai stato fatto: quello della riforma ispirata dalla Lega era falso, e in realtà per costruirlo occorrono mutamenti ben più pesanti. Per quanto riguarda i poteri del presidente del consiglio, è giusto che possa revocare i ministri ( non quell’accordo precedente, ampio, che ipotizzava il suo potere di scioglimento delle camere). Ma anche il potere di revocare i ministri – che secondo Vanoni e alcuni altri era già implicito nella Costituzione – che è giusto poter attribuire al premier, richiede però un controllo da parte del presidente della Repubblica, un ruolo alla Scalfaro.
Quanto al federalismo fiscale, c’era già nella riforma del Titolo V, così come nel testo del centrodestra, l’unica cosa che manca è un provvedimento attuativo.
Ma è davvero buona cosa il «federalismo fiscale», per l’ uguaglianza di diritti fondamentali, diritti sociali? E questo problema non si ripropone anche per molte voci della legislazione concorrente tra stato e regioni, prodotta dalla riforma del titolo V? Per esempio la sicurezza sul lavoro?
Sul federalismo fiscale, per garantire l’uguaglianza basta il Fondo perequativo nazionale. Certo, difficile da mettere in bilancio nell’attuale situazione della finanza pubblica. E quanto ad altri punti, la sicurezza sul lavoro, ad esempio, certo deve essere di competenza «nazionale». Ma molti punti controversi anche della riforma del Titolo V ci ha già pensato la Corte costituzionale a svuotarli.
Non pensa che la bocciatura referendaria mirasse sì alla controriforma berlusconiana ma anche a quella precedente del centrosinistra?
Assolutamente no. Qui si è percepito uno strappo ai fondamenti della Costituzione. Mentre nell’autunno 2001 un referendum certo meno partecipato, disse sì alla riforma del Titolo V della Costituzione.
mercoledi` 28 giugno Roberto Ciotti Roma incontra il mondoVilla Ada Roma – ore 22.00