«Bisogna tornare a parlare di classe, di sfruttamento, di plus-valore». Edoardo Sanguineti, poeta e critico letterario marxista, oppone al linguaggio attuale della politica parole cadute in disgrazia e spesso cancellate anche dal vocabolario della sinistra. Se il leader del centrodestra si definisce “presidente operaio”, mentre quello del centrosinistra parla di “sicurezza” qualcosa è successo. Sicuramente siamo davanti ad uno slittamento semantico (da ordine pubblico a sicurezza, appunto), stiamo assistendo al radicarsi di quello che il gruppo napoletano 99 Posse ha definito in una canzone di due anni fa, “confusione semiotica”: i segni si sovrappongono, perdono il loro significato, mentre tra destra e sinistra si procede per contiguità anche nei modi della comunicazione politica. La partita della “par condicio” televisiva e la sua ademocratica conclusione, è avvenuta in questo contesto linguistico-politico. «Il progetto di realizzare la “par condicio” – commenta Sanguineti – in astratto è condivisibile ma di fatto è assai complessa e artificiosa e si risolve in una guerra di cifre evidentemente contestabili. Le vecchie campagne elettorali televisive avevano una ragion d’essere. C’erano personaggi, amabili o non amabili, ma di notevole stampo: ricordo in tv i tempi di Togliatti, di Nenni, di De Gasperi, di Andreotti. C’era un livello straordinario di dibattito e non l’ossessione degli indici d’ascolto regolati meccanicamente sulla base della pubblicità». Come e perché si è arrivati ad una tale degenerazione delle forme della comunicazione politica? Si è creata una confusione pericolosissima o meglio ancora una sostituzione tra due livelli: quello della propaganda e il livello della pubblicità. Si tratta di un problema che non è legato solo al settore televisivo, ma va ben oltre. La propaganda è cosa nobile, che ha origine in atteggiamenti di tipo religioso. Una volta secolarizzata è diventata propaganda politica: il modo della diffusione dell’ideologia. La pubblicità è radicalmente diversa. E’ legata all’egemonia borghese, alla mercificazione, è orientata verso il mercato. Si serve delle scritte e delle insegne luminose, dei cartelloni, modifica tutti i paesaggi urbani ma anche quelli rurali. Quanto più il capitalismo si rafforza tanto più l’egemonia borghese diventa pervasiva e porta a un cambiamento radicale: la propaganda politica si risolve in forme pubblicitarie. Gli elementi ideologici, i progetti politici diventano una merce che, come le altre, deve essere venduta. Il modello è il persuasore occulto. L’ideologo e il politico diventano appunto persuasori occulti che hanno da sedurre, da conquistare il pubblico. Anche Gramsci parlava però dell’intellettuale organico o del politico come “persuasori permanenti”. Sì, ma egli indicava un persuasore esplicito: un ideologo non trascura la dimensione emotiva, il valore dei sentimenti, ma questi devono essere sempre rinviati a un atteggiamento lucidamente intellettuale. Adesso, invece, siamo in balìa della persuasione occulta che vende la merce politica. Quali conseguenze provoca il radicale passaggio dalla propaganda alla pubblicità? Un tempo si parlava giustamente di parole d’ordine, che in forma breve presentavano un programma politico, un progetto che cercava consenso e approvazione almeno nel modo in cui lo si può fare in una democrazia di tipo borghese. Adesso la parola d’ordine non esiste più, ma abbiamo lo slogan che è una delle forme della pubblicità. Al centro sta la menzogna. Così come si tenta di convincere che un certo profumo rende seducenti, che un certo frigorifero porta la felicità, allo stesso modo si dice che votando quel signore si otterrà il benessere. Il meccanismo è il medesimo. Chi parla sa bene di non dire la verità. Persino chi ascolta – se non è alienato del tutto – comprende di essere oggetto di una seduzione poco convincente. Ma c’è una parte del pubblico, che pur non credendo a quello che lo slogan politico gli comunica, alla fine in qualche modo ci sta. A quale domanda dà una risposta la propaganda? Era e voleva essere un tentativo di rispondere ai bisogni del cittadino. La pubblicità e lo slogan sono invece un appello – fondamentalmente bugiardo come dicevo – ai desideri. Sono due atteggiamenti completamente diversi. Il primo è una forma realistica, razionale, il secondo si basa, oniricamente, sulle fantasie, e può così promettere, senza spiegare come, mille posti di lavoro o tasse più basse. Nella campagna elettoral-pubblicitaria del centrodestra un elemento chiave è il continuo richiamo all’anticomunismo. Un atteggiamento che si può riassumere nell’affermazione: «Chi non è con me, è comunista». L’uso che viene fatto della parola comunista è assolutamente fantastico e terroristico: viene buttata a dritta e a manca appena si manifesti un elemento di non accettazione supina delle proposte di quello che veramente è il Grande Fratello, nel senso originario alla Orwell. Un altro esempio è la parola riforme. Una volta la sinistra riformista poteva piacere o non piacere ma aveva una connotazione precisa. Ormai, oggi, la parola riforme è giocata a destra e a sinistra in maniera perfettamente contigua e molto spesso viene a significare controriforma, restaurazione di modelli del passato. Il guaio è che tutto questo ha un precedente. Non è la prima volta che la confusione dei discorsi viene fatta calcolatamente. Riprendiamo lo slogan “operaio presidente”: ci riporta a quella che fu la politica di Mussolini. Il duce lancia un’idea di socialismo nazionale, che si definisce in Europa come nazionalsocialismo, dove la parola socialismo andava a mescolarsi con quella di nazionalismo aggressivo, guerrafondaio, razzista, e si poneva come espressione autentica contro la posizione rappresentata dalle sinistre storiche. Oggi abbiamo altrettante espressioni – come “guerra umanitaria” che copre le nuove forme di interventismo internazionale – basate sulla stessa logica. Ma allora che linguaggio usare, come uscire da questa “impasse”? L’unica cosa che può fare chi oggi voglia difendere la salute del linguaggio politico e, più in generale, del comunicare tra essere umani, è quella di puntare di nuovo sulla coscienza di classe e su questo non transigere perché – non mi stancherò mai di ripeterlo – i borghesi sanno di essere borghesi, i capitalisti di essere capitalisti, i proletari non sanno più di essere proletari. E’ necessario riproporre con forza, in un linguaggio nitido e fermo, i temi della lotta di classe fondati sulla visione di Marx, del materialismo storico, di Gramsci. Credo davvero che l’unica soluzione sia quella di riprendere in positivo la parola comunismo.
Angela Azzaro