Le recenti elezioni presidenziali in Ucraina ci consegnano l’immagine di un paese fortemente polarizzato e sostanzialmente spaccato in due. Viktor Janukovich, leader del Partito delle Regioni, vince il ballottaggio con solo il 3% di voti di scarto su Julia Tymoshenko, eroina della così detta “rivoluzione arancione” (48% contro il 45%). Ad essere realmente battuta è quindi l’esperienza arancione, dai media occidentali ribattezzata “rivoluzione”, al punto che il suo leader, nonché presidente uscente, non solo non è arrivato al ballottaggio, ma al primo turno ha raccolto un risultato misero: meno del 6%. Ecco perché le elezioni ucraine simboleggiano la sconfitta di questa esperienza e delle politiche portata avanti dal suo leader Jušcenko, il principale propugnatore per un’adesione dell’Ucraina alla Nato e della riabilitazione dei movimenti degli anni ’30 e ’40 coinvolti nella collaborazione nazista. Viktor Yanukovic aveva già vinto le presidenziali del 2004 ma, dopo la mobilitazione popolare a guida Tymoshenko – Jušcenko (la “rivoluzione arancione” appunto), la Corte Suprema, sotto la pressione della piazza, aveva invalidato le elezioni per brogli ed irregolarità varie. Così il nuovo responso ha premiato Jušcenko, forte anche dell’appoggio di media occidentali, grandi Ong e “gruppi di appoggio”. Tra questi, i più famosi sono ovviamente quelli statunitensi, ma bisogna ricordare come furono in tanti anche gli italiani con Ong minori a prendere parte alle proteste di piazza di quei giorni ed anche la stampa di sinistra vide in quelle mobilitazioni “spontanee” una dimostrazione di avvenuta maturità della società civile ucraina che finalmente si emancipava dalla longa manus russa. Nonostante questi buoni auspici (ed ingenti somministrazioni di denaro da parte del FMI per aiutare l’economia disastrata e far ricadere il Paese nell’orbita occidentale) la coabitazione tra il nuovo presidente ed il nuovo premier da lui nominato, Julia Tymoshenko, era però apparsa subito molto travagliata, al punto che lo scontro tra i due ex alleati aveva condotto ad un’impasse politica e ad un clamoroso ribaltone che aveva portato al governo come primo ministro, su designazione presidenziale, proprio Yanukovic. Con queste elezioni si decreta la sconfitta dell’intera “strategia della tensione” e del “respingimento della Russia”, che era stata attuata dai progettisti della “rivoluzione arancione” Zbigniew Brzezinski, Madeleine Albright, Václav Havel, George Soros e le potenti fondazioni degli Stati Uniti, tra cui la NED. E così a venir meno è il progetto di ingresso nella NATO ed il sequestro della Crimea (postazione strategica per il controllo del Mar Nero e del “Grande Medio Oriente”). Anche perché in caso di adesione alla Nato, la maggioranza russa della Crimea chiederebbe l’adesione alla Russia. E’ Mosca che frena il separatismo della Crimea e non la popolazione locale, del resto il “patriottismo” dell’Ucraina non è dalla parte del nazionalismo radicale, quello che viene ispirato dai post (e neo) fascisti della Galizia.
Il duello Yanukovic – Tymoshenko è stato da più parti descritto come lo scontro tra le due anime dell’Ucraina, quella “pro-russa” e quella “filo-occidentale”, che spacca il paese esattamente in due, tra l’est russofono e l’ovest ucraino-fono. Questa è una descrizione molto semplificata e sbagliata della società ucraina, che non spiega le caratteristiche di un paese molto plurale ed altamente evoluto, ricco quindi di sfumature, al punto che Viktor Yanukovic ha registrato un autentico successo in diverse regioni dell’ovest, dove ha convinto da un quarto ad un terzo degli elettori a votare per lui. Se è vero che Janukovich ha ottenuto i più grandi successi in zone prevalentemente di lingua russa, a est e a sud (90% a Donetsk (Donbass), 88% a Lugansk, 71% a Kharkov, 71% a Zaporozhye, 73% a Odessa, 79% a Simferopol (Crimea), 84% a Sebastopol), è anche fondamentale rilevare come egli abbia avuto successo anche nell’Ovest ucraino (36% a Zhitomir, 24% a Vinnitsa, 18% a Rovno, 41% in Transcarpazia, la regione occidentale più meridionale, che è vicino a Polonia, Slovacchia, Ungheria e Romania). Le tensioni si sono invece registrate solo nelle regioni della Galizia (Leopoli, Ternopol, Ivano-Frankovsk), tradizionali roccaforti del radical-nazionalismo anti-russo e anti-semita. Qui Janukovich ha conseguito le sue percentuali sono più basse: sotto il 10%. E’ bene inoltre ricordare come il leader “regionalista” è stato sostenuto dal Partito Comunista e da altre formazioni di sinistra, in declino molto forte al primo turno. Considerazione analoga va fatta per Julija Tymoshenko: maggioritaria in Occidente (da 85 a 88% nelle regioni della Galizia, 81% a Lutsk, 76% a Rovno, 71% a Vinnitsa, ma solo il 51% in Transcarpazia), ha conseguito anche notevoli successi in Oriente (29% a Dnepropetrovsk, 34% a Kherson, 22% a Kharkov). Il 29% a Dnepropetrovsk, non è un caso: Julija è di lì, e il clan industriale di questa regione è rivale di quella del Donetsk, che domina Janukovich. Kiev è divisa tra il 65% per Julia e il 25% per Viktor Janukovich, mentre la capitale è prevalentemente di lingua russa. Questi risultati dimostrano quindi come sia necessario relativizzare la frattura Est-Ovest e ucrainofoni-russofoni, di cui siamo abituali in Occidente.
Le sfide che la nuova presidenza si trova dinnanzi sono diverse. La prima, ed estremamente importante, riguarda la questione energetica. L’Ucraina è il paese di transito principale per i gasdotti che collegano la Russia al suo principale mercato, l’Europa. In questi anni l’Ucraina si è dimostrata un partner non affidabile al punto che le crisi diplomatiche tra Mosca e Kiev le pagava l’Europa che si vedeva sottratto gas destinato alle proprie forniture, con forti rischi di black out e preoccupazione dei governanti europei. Anche per questo motivo e per aggirare altri paesi giudicati inaffidabili (ex repubbliche sovietiche come Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Bielorussia) sono stati progettati due nuovi gasdotti: il North e South Stream. Il primo porterà il gas russo direttamente alla Germania, attraverso tubature sotterranee sotto il Baltico. Il secondo invece aggirerebbe l’Ucraina a sud attraverso il Mar Nero, giungendo in Europa dalla Bulgaria. Compito di Janukovich sarà quello di cercare di far tornare l’Ucraina ad essere un partner più affidabile per Mosca e a non essere così più tagliato fuori sui progetti dei nuovi gasdotti. La seconda sfida riguarda invece la politica ed il sistema semipresidenziale che fino ad oggi è stato una delle cause principali delle difficoltà della democrazia ucraina dove è poco chiara la divisione di competenze tra presidente, governo e Rada (il parlamento). Questo crea conflitti permanenti tra i diversi organi dello stato e a questo va aggiunto il fatto che in parlamento non c’è un partito che detenga la maggioranza assoluta dei consensi e le coalizioni si sono dimostrate sempre labili. La terza sfida riguarda i problemi sul fronte economico. Il fatto che la politica sociale ed economica sia prerogativa del premier e non del presidente (al contrario di esteri e difesa) può rivelarsi un ostacolo in più. L’emergenza della crisi non è passata ed è probabile che senza aiuti esterni l’Ucraina non ce la faccia ad uscire dal tunnel. Il Fondo Monetario Internazionale tiene ancora bloccata la quarta tranche del prestito globale di16,4 miliardi di dollari, mentre la Russia, che ha finanziato tramite Gazprom diversi progetti in Ucraiana, vuole ora integrare il paese nello Spazio Economico Comune. Quest’ultimo entrerà in vigore il 1 gennaio 2012 e coinvolgerà Russia, Bielorussia e Kazakistan (un’area con più di 170 milioni di cittadini) e che vedrà la libera circolazione di capitali. La coppia Putin-Medvedev ha invitato l’Ucraina a partecipare. E questo perché la Russia insiste, nella sua proiezione internazionale, verso l’Europa, accreditandosi come ponte tra il versante orientale (sopratutto la Cina) ed occidentale (l’Unione Europea) dell’Eurasia. Ma il problema vero è che l’Europa, lontana dall’essere una entità politica coesa, è profondamente divisa tra un polo a favore della cooperazione con la Russia, con la Germania che guida questo processo, e un altro polo incarnato dalla Polonia e dall’ex presidente ceco Havel, che guarda all’atlantismo spinto e al “respingimento della Russia”. Una divisione acuita dalla presidenza statunitense di Bush jr (che teorizzò la divisione tra la “vecchia” e la “nuova” Europa”) e che la nuova presidenza Obama non sta appianando nonostante la continua richiesta di collaborazione alla Russia per risolvere i problemi sul campo, Iran ed Afghanistan sopra tutti. La vittoria di Janukovich, al di là dei suoi effettivi meriti e capacità, può rappresentare quindi un’occasione per ricomporre questa frattura in Europa e lavorare ad una maggiore integrazione politica ed economica riducendo le interferenze politiche, economiche e militari degli Stati Uniti. Una questione tutt’altro che secondaria, anche per noi.