Commento di Bruno Steri – Dipartimento Esteri PRC
(3 febbraio 2005)
Dire che le elezioni irachene rappresentino un trionfo della democrazia è dire “una sciocchezza clamorosa”, poiché “se di trionfo si deve parlare, non è della democrazia ma della propaganda americana”. Questo netto giudizio di Giulietto Chiesa, oltre che condivisibile dal punto di vista etico-politico (i morti non possono votare e queste elezioni sono state preparate, gestite, controllate da quelle stesse truppe di occupazione che della carneficina irachena sono responsabili dirette), è suffragato da inequivoci dati di fatto.
Dichiara Salim Lone, ex responsabile per la comunicazione del rappresentante speciale Onu in Iraq Sergio Vieira de Mello: “I principi elementari per lo svolgimento di elezioni sono stati in Iraq talmente poco rispettati che, se si fossero tenute in Siria o in Zimbabwe, Stati Uniti e Gran Bretagna sarebbero stati i primi a denunciarle”.
Per valutare appieno il valore di verità di tale dichiarazione, occorre accedere a fonti che non siano quelle costruite dall’onnipresente informazione “arruolata”: ad esempio, considerare quanto riferiscono David Pestieau e Mohammed Hassan, due coraggiosi giornalisti indipendenti (tra l’altro autori del saggio “L’Iraq davanti all’occupazione”). La Commissione elettorale irachena fa sapere che hanno partecipato alle elezioni il 57% degli elettori iscritti. Bisogna cogliere il dettaglio di tale dichiarazione: come detto, non si tratta del 57% degli aventi diritto al voto ma appunto degli “elettori iscritti” ed è importante tenere presente che nelle regioni centrali dell’Iraq, che sono le più popolose, il tasso di iscrizione alle liste elettorali è stato bassissimo.
Secondo la televisione araba Al Jazeera, ad esempio a Bagdad la partecipazione è stata molto bassa, soprattutto nei quartieri popolari del centro e dell’ovest; nelle città di Mossoul e Baquba i seggi elettorali erano deserti; nella città ribelle di Samara solo 1400 dei 200 mila abitanti sono andati a votare. Nelle stesse zone a maggioranza sciita la partecipazione non è stata omogenea e non tutti i capi religiosi hanno chiamato al voto: così, nella città industriale di Bassora (dove il partito sciita Hezbollah aveva rifiutato di partecipare) la partecipazione è stata molto più bassa che nelle campagne. Altro dato significativo: all’estero, dove ovviamente i problemi di sicurezza dei seggi sono del tutto assenti, solo il 25% degli iracheni si sono iscritti alle liste. Complessivamente si stima che meno di un terzo degli iracheni sono andati a votare.
Il nostro paese, con qualche lodevolissima eccezione, è aggregato al coro che celebra questo fulgido “esempio di democrazia”. Ed è in prima linea con la “libera” stampa occidentale: si pensi che, in tutto l’Iraq, le catene televisive sono state autorizzate a filmare la bellezza di 5 (cinque!) seggi elettorali (quattro dei quali, ovviamente, dislocati a sud, nelle regioni a maggioranza sciita, dove maggiore è stata l’affluenza). Per il resto, la quasi totalità dei pochi giornalisti indipendenti presenti non è potuta uscire dai prestabiliti quartieri di Bagdad e Bassora, restando così in balìa dell’informazione dell’esercito occupante e dei partiti pro-occupazione.
Una parvenza di “Missione internazionale di controllo”, composta da venti esperti internazionali, si è incaricata di salvare le forme: a titolo di paragone, in Ucraina c’erano 2.400 (duemilaquattrocento!) osservatori.
In queste “democratiche” elezioni, la quasi totalità dei candidati era sconosciuta agli elettori: per motivi di sicurezza, i partiti non hanno reso pubblici i loro nomi. Si è votato senza sapere per chi si è votato!
Infine, che potere reale avranno gli eletti? “Praticamente nessuno”, risponde il giornalista indipendente Robert Fisk. E precisa: “Non avranno alcun controllo sul petrolio, nessuna autorità sul territorio e le strade di Bagdad, nessun esercito operativo o polizia. Il loro solo potere è quello dell’esercito americano”.
Chi ha votato ha ritenuto di poter arrivare a migliorare le proprie condizioni materiali e di poter vedere il proprio paese libero dalle truppe di occupazione. Purtroppo, con ogni probabilità non sarà così. In Iraq sono già in costruzione 16 basi militari; e un alto ufficiale Usa ha recentemente affermato che “gli Stati Uniti stanno facendo fronte ad un’insurrezione che non cesserà prima di un decennio”.
E’ francamente preoccupante che, in tale contesto, vi sia chi parli – da sinistra – di “trionfo della democrazia”.