Il filosofo Etienne Balibar firma, con altri 200 intellettuali, un appello a favore di Ségolène Royal, pubblicato da Libération. Tra gli altri, con Robert Castel, Alain Joxe, Pierre Rosanvallon, Ariane Manouchkine e Benjamin Stora, chiede a tutti gli elettori di sinistra «di unirsi fin dal primo turno attorno al nome di Ségolène Royal, per sbarrare la strada alle candidature convergenti di Nicolas Sarkozy e Jean-Marie Le Pen».
Come mai questo appello?
A titolo personale, avevo deciso da tempo di votare Royal fin dal primo turno. Per ragioni negative, prima di tutto, che con il tempo sono diventate ragioni positive. Questo non fa di me un ammiratore incondizionato di Royal e ancora meno un ottimista. Con altri, però, ci siamo detti che se poi Royal fosse sconfitta non ci perdoneremo di non aver preso nessuna iniziativa. Credo che una sconfitta della sinistra – anche se è legittimo chiedersi quale sinistra e se Royal sia di sinistra, ma de facto è lei che rappresenta la sinistra alle presidenziali – non puo’ avere effetti positivi. Nell’immediato, una sconfitta avrebbe effetti terribili sul tessuto sociale francese. Sarkozy rappresenta una combinazione, alla francese, di Thatcher e Berlusconi : basta chiedere agli inglesi e agli italini come si sta dopo anni di un rullo compressore del genere, dal punto di vista del welfare, delle capacità di resistenza dei lavoratori, delle libertà pubbliche, della moralità. Alcuni sostengono invece che la sinistra così come l’abbiamo conosciuta è finita, si tratta di organizzazioni senza fiato, con forme di mobilitazione inefficaci, intricate in contradidzioni insolubili e quindi ci vuole un elettrochoc. Non vogliono appoggiare una sinistra che ha basi inesistenti per accelerare la ricomposizione del paesaggio politico. Così il Ps scoppierebbe, una parte andrebbe con il centro e ne diventerebbe una componente minoritaria, mentre dall’altro, dicono, c’è bisogno in Francia di un partito sul modello di Rifondazione. Capisco che si possa dire questo, ma io non ci credo. Il rischio è troppo grande, la ricomposizione della sinistra non sarà più facile con una sconfitta che con la vittoria. Le contraddizioni che impediscono un’unificazione della sinistra della sinistra sono molto difficili da risolvere nell’immediato. L’elezione di Royal non è la soluzione, ma è il male minore.
A molti Royal non piace. In particolare ha suscitato polemiche il richiamo alla bandiera e alla Marsigliese.
Non sottostimo la personalità e la sua ideologia, ma non mi sembra questo il punto. Alcuni le attribuiscono posizioni orribili e alcune, in effetti, o anche lo stile a volte, vanno in questo senso. Per esempio gli aspetti di ordine morale, il patriottismo. Ma non credo che Royal rappresenti il socialismo nazionale alla francese. La questione dell’identità nazionale non è un falso problema, ma è stato a lungo represso. Bisogna mettere in evidenza che destra e sinistra hanno una diversa risposta a questa questione. E c’è una lotta da fare all’interno della stessa sinistra, perché permane un nazionalismo in Francia, una nostalgia da grande potenza, che neppure gli altermondialisti hanno risolto.
Come farà a vincere, visto che la sinistra non è maggioranza in Francia?
Il sostegno di tutta la sinistra a Royal deve essere percettibile. L’estrema sinistra deve far pesare le preoccupazioni sociali.
Sarebbe importante che vincesse una donna?
La misoginia è reale. Il sistema politico francese, più che altri, comporta una tradizione secolare di interdizione o di ostacolo all’accesso delle donne alle responsabilità politiche. Sostengo che eleggere una donna sarebbe una specie di rivoluzione. E’ uno degli elementi che suggeriscono che il sistema politico francese è in uno stato di instabilità, di fragilità. Siamo alla fine di un’epoca iniziata con il ’45. L’instabilità puo’ portare il peggio. L’elezione di Royal sarebbe un’apertura, con i rischi che comporta una disillusione, per mettere in piazza la questione della rappresentanza di tutte le frange della società francese che non sono più rappresentate, dalle banlieues agli operai disperati per la disoccupazione e le delocalizzazioni.
Ma non sarebbe più efficare affrontare questi problemi a livello europeo e non nazionale?
Malgrado la vittoria del no, che ha espresso un malessere, una protesta, oggi non è più possibile trovare soluzioni nazionali ai problemi politici, sociale ed economici. Un nuovo keynesismo non avrebbe senso a livello nazionale, cosi’ come le questioni della pace, i rapporti di forza internazionali. Ci vorrà un grosso sforzo per la costruzione europea.