Egitto, la democrazia viaggia su internet: i blog che accusano la polizia di Mubarak

Un uomo in una stazione di polizia viene sodomizzato con un bastone. Chiede pietà, mentre i suoi aguzzini minacciano di mostrare le riprese ai colleghi. Sembrano parecchi, disposti a cerchio attorno a lui, ma la telecamera non riprende i volti, si distinguono solo le scarpe e le divise. Sono le immagini atroci di uno dei cinque video pubblicati da alcuni blogger egiziani su internet.
I film, secondo i blogger che li hanno pubblicati, sono stati tutti girati in stazioni di polizia, con le telecamere dei telefoni cellulari degli stessi agenti o di testimoni oculari nascosti. E le immagini sono terribili: in una sequenza appare una ragazza mentre viene picchiata, sul muro dietro di lei campeggia il ritratto del presidente Hosni Mubarak. In altre, poliziotti cadetti vengono istruiti dai loro superiori sulle modalità con cui torturare i sospetti.
Da qualche giorno i video sono disponibili sul web. Una bella patata bollente per un governo che tenta in tutti i modi di presentarsi rispettabile agli occhi del mondo intero. Se da sempre esistono racconti e testimonianze delle atrocità che si consumano nelle stazioni di polizia egiziane, quale prova più schiacciante che immagini accessibili a tutti?
Per questo per la prima vota anche il ministero degli interni ha dovuto uscire dal silenzio e rispondere alle accuse. Invece di negare, come suo solito, ha quindi provato ad attutire il colpo. «Nessuno dei poliziotti ripresi dalle telecamere ha agito per ordini superiori», ha sentenziato il portavoce in una dichiarazione pubblica. Come a dire, non possiamo negare che sia accaduto, ma si tratta di casi isolati. E il ministro è andato anche oltre. Per mostrare le sue ottime intenzioni, ha deciso di sacrificare qualche pesce piccolo.
Le vittime delle torture dei cinque video sono state chiamate a testimoniare: i poliziotti identificati rimossi dai loro incarichi e messi sotto accusa. Il giornalista e blogger Hossam el Hamalawi porta un altro film come esempio della percezione comune rispetto alle forze di polizia. «Si tratta di un video che fa capire molto della realtà egiziana». Il film è stato girato in una scuola del Cairo e mostra due bambini mentre giocano a guardia e ladro. Invece di inscenare inseguimenti e sparatorie, il bimbo poliziotto si mette in piedi su un sedia e comincia a insultare e schiaffeggiare ripetutamente il bimbo ladro fino a fargli perdere conoscenza. «Quale prova più chiara di cosa pensano le persone delle forze di polizia egiziane – si domanda El Hamalawi – perfino i bambini conoscono la verità».
E questa volta la percezione ha delle prove concrete. La situazione è sfuggita di mano anche ai poliziotti. Complice la stessa cultura egiziana. «Qui essere picchiati o addirittura violentati costituisce una vergogna pesante – spiega Wael Abbas, uno dei primi a pubblicare i filmati – Molte vittime, spesso, non solo si rifiutano di denunciare, ma addirittura negano di aver subito violenze. Per questo i poliziotti hanno filmato gli abusi. In una sorta di doppia umiliazione: da un lato la tortura in sé, dall’altro la sua diffusione». E Wael continua: «L’uomo sodomizzato e’ un autista di microbus: il video che lo riprende e’ stato distribuito in alcune stazioni di autobus. Il padre della vittima per la vergogna ha avuto un infarto ed e’ morto”. Ma questa volta i video sono finiti anche nelle mani sbagliate. Anonimi hanno cominciato a spedire le immagini ai blogger come atti di denuncia. Wael ricorda: «un mio amico ha ricevuto uno dei filmati, l’ha visto e poi mi ha chiamato. Non sapeva che farci, aveva paura. Io ho deciso che tutti dovevano sapere e l’ho messo sul web». La questione delle torture delle forze di polizia o militari egiziane non è una novità. Recentemente il consiglio nazionale per i diritti umani, guidato dal segretario Butrus Ghali, ha consegnato al presidente Mubarak due rapporti in cui si trattano duecento casi di violazioni dei diritti umani da parte della polizia. Ma poche tra le duecento denunce sono state oggetto di investigazione, e per nessuna sono state prese azioni disciplinari.
Testimonianza più forte viene dall’agente in pensione Mahmoud el Koutri, che due anni fa ha pubblicato un libro dal titolo «Confessioni di un poliziotto nella città dei lupi». Il ministero degli interni ha censurato la pubblicazione e accusato el Koutri di diffamare l’arma egiziana per scopi personali. Ma el Koutri non si arrende. «La violenza della polizia è di due ordini – dice – sistematica e arbitraria. Entrambe trovano le loro radici nell’accademia di polizia, dove dal primo giorno gli studenti imparano che il cittadino è un nemico e non una persona da proteggere. Dopo l’accademia è anche peggio. Nel lavoro di tutti i giorni, gli ufficiali sono sempre sotto pressione. Viene loro chiesto di migliorarsi, e uno dei parametri sono le modalità di tortura usate». El Hamalawi cita anche un rapporto pubblicato dal quotidiano indipendente al Dostur che mostra come negli ultimi due anni il budget del ministero degli interni sia aumentato di circa quindici miliardi di euro. Non è un caso, secondo el Hamalawi, che tale aumento dei fondi corrisponda a un aumento dell’attivismo delle forze di opposizione: «Il governo vuole mostrarsi ancora forte, di poter intimorire il dissenso».