Egitto, i Fratelli musulmani prima forza dell’opposizione

Concluse mercoledì le tornate elettorali per il rinnovo dell’Assemblea nazionale, l’Egitto si trova oggi alle prese con un risultato apparentemente contraddittorio: un esito cioè da un lato del tutto scontato, con la maggioranza schiacciante al partito del presidente, ma dall’altro lato caratterizzato da una novità senza precedenti, e cioè dal clamoroso successo dei Fratelli musulmani, formalmente fuori legge ma presenti nella competizione con un gran numero di candidati ‘indipendenti’. Il quinto mandato presidenziale di Hosni Mubarak – ottenuto di recente con una votazione largamente contestata dalle opposizioni – comincia dunque in modo problematico, tutt’altro che senza scosse e con la constatazione, amara quanto per certi versi preoccupante, che anche nel maggior Paese arabo il sostanziale monopolio dell’opposizione al regime passa nelle mani delle organizzazioni islamiche, per quanto moderate rispetto al fondamentalismo di marca terroristica. In cifre tonde, ancora ufficiose ma ormai certe, dei 454 seggi dell’Assemblea (10 dei quali di nomina presidenziale) il partito nazionale democratico di Mubarak ne ha ottenuti 333, pari al 73%; i Fratelli musulmani ne hanno conquistati ben 88, cioè circa il 20%, quasi sei volte di più di quelli che avevano in precedenza (15); altri 21 sono andati a indipendenti veri o alle forze di opposizione diverse da quella islamica; gli ultimi 12 sono ancora da assegnare. Il controllo del parlamento da parte del partito di governo è dunque assicurato, ma l’opposizione islamica può far sentire la sua voce come mai in precedenza. Tra le forze minori di opposizione 6 seggi sono andati allo storico partito liberale Wafd, 2 al neo-liberale Ghad (il cui leader Ayman Nur è stato il principale antagonista di Mubarak nelle presidenziali), al partito nasseriano e 2 al Raggruppamento progressista unionista (sinistra marxista) fondato a suo tempo dal ‘maggiore rosso’ Khaled Mohieddine e che comprende i comunisti; un vero e proprio tracollo dell’opposizione laica e nazionalista, dovuto in larga misura alla pressione (o alla repressione) del regime che ha finito indirettamente per favorire gli islamici, secondo la vecchia logica dell’apprendista stregone, ma in maniera non meno consistente anche il fallimento, o alle implosione, dei regimi ‘socialisti’ e ‘nazionalitari’ del secolo scorso. Islamici e laici sono comunque concordi – e non a torto – nel denunciare il risultato come non rispecchiante la realtà del Paese, visto il clima di intimidazioni, di violenze e di brogli che ha caratterizzato la consultazione.
Se queste ultime elezioni – sia presidenziali che adesso parlamentari – sono state per un certo verso le più libere nella storia dell’Egitto repubblicano, nel senso dell’ampia presenza di liste e di candidature alternative a quelle ufficiali, sono stati però confermati al tempo stesso tutti i vecchi vizi del sistema, a volte in modo addirittura macroscopico, come nei molti seggi nei quali cordoni di poliziotti hanno materialmente impedito l’accesso agli elettori, arrivando ad aprire il fuoco contro la folla che premeva per entrare. Il risultato drammatico è di complessivi undici morti, sei dei quali nella sola giornata conclusiva; un clima di violenza definito dagli osservatori «senza precedenti». Mubarak insomma ha dovuto cedere alle pressioni di Bush, che nel quadro della sua «crociata democratica» (e per giustificare in qualche modo le malefatte dell’Iraq e dintorni) pretende dai governi «amici», come appunto l’egiziano o il saudita, una apertura almeno apparente alle regole della democrazia occidentale, ma non ha voluto correre i rischi che avrebbe comportato una competizione vera, nella quale il regime sarebbe stato chiamato a rendere conto della gravissima situazione economica del Paese, ma anche della politica di allineamento o di subordinazione all’Occidente e in particolare agli Usa, politica sempre più contestata dalle masse popolari, ma anche da buona parte della classe intellettuale. Come si diceva, hanno finito per trarne giovamento i Fratelli musulmani, rafforzati indirettamente anche dalla sconfitta sostanziale – nonostante i recenti tragici sussulti terroristici – dei gruppi fondamentalisti armati.
Nei 76 anni trascorsi dalla loro fondazione (nel 1929 ad opera di Hassan al Banna, poi assassinato nel 1949) sono vissuti quasi sempre nella illegalità, salvo due brevi periodi negli anni ’50 e poi al tempo di Sadat, ma hanno mantenuto una presenza politica e organizzativa costante nel Paese e hanno regolarmente presentato candidati formalmente ‘indipendenti’ alle elezioni, anche se mai nella misura e con il risultato di quest’ultima votazione. La loro rafforzata presenza può forse in qualche modo rappresentare un ‘parafulmine’ contro una ricrescita del fondamentalismo armato, ma costituisce anche – forse anzi soprattutto – un problema di primaria importanza per Mubarak e per il suo governo, in una fase che per l’Egitto è comunque di transizione.