Effetti laterali

Per dirla con gergo militare: “87 giorni all’alba”. L’alba, in questo caso, non è la fine della naja, ma l’arrivo dal primo gennaio dell’euro nelle tasche di 300 milioni di europei. Doveva essere una festa, non lo sarà: l’economia europea è alle corde. Sta ancora un po’ meglio di Usa e Giappone, ma ogni giorno siamo tempestati di pessimi notizie che fanno prevedere per il 2002 un anno orribile del punto di vista economico-sociale. In tutto questo l’attentato alle Twin Towers c’entra, ma non è la causa scatenante della recessione.
Da mesi era evidente che il sistema economico globale batteva la fiacca e che la crescita straordinaria dell’economia Usa era drogata: dall’alta quotazione del dollaro (che trainava l’export degli altri paesi industrializzati); dal boom delle quotazioni azionarie, che dava a molti l’illusione di una improvvisa e duratura ricchezza; dalla perversa espansione del credito al consumo, che spingeva i consumatori Usa a indebitarsi per seguitare a consumare; dallo sfruttamento di milioni di immigrati clandestini disponibili a lavorare come bestie a 5 dollari l’ora senza garanzia alcuna; da un eccesso di investimenti (realizzati con l’autofinanziamento, ma anche con l’indebitamento) che hanno fatto salire a dismisura la capacità produttiva, ora largamente inutilizzata. Infine, ma non va enfatizzato, un ruolo importante lo hanno avuto le nuove tecnologie. Ma pochi si sono accorti che quella vissuta negli anni ’90 era la fase terminale di un ciclo tecnologico e non l’inizio dell’età dell’oro.
La crisi, dunque, era inevitabile. Tutti ne erano convinti a cominciare dagli speculatori che, dopo aver contribuito a gonfiare le quotazioni di borsa coinvolgendo nel successivo disastro milioni di risparmiatori, hanno tagliato la corda. Speculatori che non sono persone “ciniche e bare”, ma che hanno più di altri la capacità di prevedere quanto sarebbe accaduto. Non lo hanno previsto, invece, i governi e gli organismi internazionali: per incapacità, ma soprattutto per ideologia. Ammettere che questo sistema possa andare in crisi significa dover riconoscere che è assolutamente imperfetto e necessita di correttivi. Ma i correttivi (non solo il keynesismo) sono la negazione di un liberismo imperante che faceva breccia nelle intelligenze e nei cuori di milioni di persone. Dopo gli attentati, però, tutto quanto era stato negato in precedenza torna ad essere affermato: il mega piano di rilancio presentato da Bush ne è la conferma. Nessuno batte ciglio: è la situazione di assoluta emergenza che richiede questa capriola.
Eppure, già all’inizio dell’anno la situazione era grave. Dal 3 gennaio la Fed ha ridotto per sette volte consecutive i tassi. Poi, dopo l’11 settembre i tassi sono stati ridotti altre due volte. E’ stato tutto inutile: certo, grazie al minor costo del denaro l’atterraggio è stato reso più morbido. Però la recovery non è decollata: dopo l’11 settembre tutto è esploso (mi scuso per il verbo) e le imprese, senza più remore, hanno calcato la mano sui licenziamenti, ammettendo finalmente che i loro conti erano in rosso; i consumatori hanno cominciato a spendere un po’ di meno per prepararsi a un futuro che hanno cominciato a scorgere più incerto. E Bush, con il consenso di Greenspan, ha cancellato tutte le promesse elettorali (come Berlusconi) annunciando di voler percorrere la via (più umana) della politica della domanda.
L’Europa invece è ancora “al palo”: il totem dell’euro da anni ha fatto scudo a una politica economica stagnante alla quale sacrificare le conquiste del welfare. Anzichè esaltare la specificità di un area socio-economica unica, l’obiettivo che si è cercato di raggiungere è stato quello di una omologazione al ribasso. Cioè agli aspetti peggiori dell’economia Usa: flessibilità, mobilità, emarginazione.
L’ultima indagine del Census bureau statunitense ci ha fatto sapere che a Washington il 22 per cento degli abitanti è povero: a poche centinaia di metri dal Pentagono si muovono in cerca di rifugio migliaia di homeless. E molti di questi senza-casa sono persone che hanno un lavoro. Del tipo che piacerebbe tanto a Berlusconi, Tremonti D’Amato e alla new entry Maroni. L’11 settembre non ha messo in crisi l’economia globale: ha solo evidenziato la sua brutale fragilità. E il primo gennaio 2002 l’euro non risolverà i problemi dell’Europa, ma ne metterà a nudo la pochezza politica e la subordinazione economica.