EDOARDO SANGUINETI: QUANDO LA LETTERATURA SIGNIFICA CULTURA

Edoardo Sanguineti: 1930-2010. Non saprei dire se con la morte di Sanguineti si chiude un’epoca. Probabilmente non se ne apre subito un’altra.

Poeta, critico, saggista, scrittore, e soprattutto “intellettuale”, nel senso pieno della parola, Edoardo Sanguineti è uno degli ultimi rappresentanti di una generazione che ha attraversato il fascismo, la guerra, la ricostruzione, il boom, la crisi, la partitocrazia, l’involuzione democratica, senza mai rinunciare a esprimere le proprie idee. La sua poesia è stata l’arma linguistica più affilata contro l’usura della lingua, la sua cultura letteraria è stata non una turris eburnea ma un campo di battaglia contro il conformismo dei benpensanti, la logica del profitto, la società dello spettacolo.

Mi piacerebbe ricordare Sanguineti a partire da Laborintus (1956), l’opera con cui esordì alla poesia – lui, allievo di un grande critico, Giovanni Getto – quasi a divincolarsi dal profilo asettico del giovane professore universitario. E allora non si può dimenticare il suo contributo al Gruppo 63, che diede una svolta determinante alla letteratura e alla cultura italiana del Novecento, con una ricerca sperimentale condotta sulle strutture del linguaggio poetico, inteso non più ingenuamente come un lascito della tradizione lirica, da venerare dogmaticamente, ma come un portato “ideologico” di una classe (la borghesia) ormai saldamente al potere, depositaria di una weltanschauung esportata in un mondo che già assaggiava le nuove raffinate tagliole del neo-colonialismo.

Mi esimo dal fare un elenco completo delle opere di Sanguineti, facilmente rintracciabile su qualsiasi dizionario in forma cartacea o in rete: raccolte poetiche, romanzi, persino drammi, e sceneggiature o adattamenti teatrali come l’Orlando Furioso per Luca Ronconi, libretti per Luciano Berio, e infine saggi che uniscono la lucidità della critica scientifica, aggiornata e brillante, con la passione militante, direi politica, dello scrittore su Dante e sul Novecento.

Ma mi piace ricordare anche l’umanità di Sanguineti, che ho conosciuto durante un convegno sul tema della bellezza, all’Università di Leuven, nel 2003. Un uomo straordinariamente affabile, ironico e autoironico. La sua cultura straripante in ogni arte, nella storia, nella filosofia, nella psicoanalisi, si metteva al servizio dell’interlocutore, incalzandolo e ascoltandolo; non era un muro di erudizione invalicabile e gelosamente custodito. Ogni domanda che gli si poneva era, per lui, una cordiale sorpresa, e per quanto ingenua non poteva essere sottovalutata; ogni sua risposta che egli dava, del resto, era un segno di premurosa ospitalità.

Nel mio lavoro mi sono trovato diverse volte distante dalle sue posizioni, ma ne condividevo il metodo etico, cioè il coraggio di arrivare in fondo alle questioni senza nascondersi con ammiccamenti e passaggi allusivi. Uno dei libri più interessanti che desidero ricordare per chi volesse avere un’immagine di Sanguineti è Sanguineti/Novecento. Conversazioni sulla cultura del ventesimo secolo, a cura Giuliano Galletta (Il Melangolo, Genova 2005). Qui vengono affrontati i nodi più diversi (dall’avanguardia al terrorismo, dal teatro alla televisione, dall’erotismo alla morte) della cultura del Novecento; ma soprattutto viene fuori la figura sfaccettata e complessa di un poeta-intellettuale che adopera il “dialogo” per il più difficile esperimento che la parola (da Platone a Castiglione, da Addison a Bateson) possa tentare: trasformare il sapere in insegnamento. Mai fidarsi di quello che l’onnipervasiva cultura mass-mediatica delle veline imbandisce quotidianamente per la manipolazione delle coscienze; mai lasciare che siano i dispacci di un ministero o di una prefettura, o peggio di un giornalista allineato con il potere, a farci credere che il male è l’altro, il “diverso”; mai credere che una missione di pace si risolva semplicemente nel distribuire in un po’ di latte in polvere, e non anche nel difendere i pozzi petroliferi cui sono interessati le multinazionali; mai dimenticare che si può morire tanto su un blindato in un vile attentato terroristico, quanto in una via colpiti da un altrettanto vile proiettile vagante, mentre si lavora per documentare la verità.

Edoardo Sanguineti muore un giorno qualunque. Qualche polemica sulla sua morte: sembra che al pronto soccorso non sia stato ricoverato con la dovuta urgenza. La televisione, intanto, è occupata dai funerali di stato per i militari italiani deceduti nell’attentato terroristico di Herat, per i quali si osserva, in tutta Italia, un minuto di silenzio. Di sfuggita appare la notizia della tragica morte di un fotoreporter durante la repressione delle camicie rosse a Bangkok. Nessun ricordo del poeta di Laborintus, che ci lascia in un baccano implacabile di notizie: le guerre che divampano, l’euro che crolla, la verità che viene stritolata. Per lui non basterà un minuto di silenzio, ci vorrà una vita.

Salvatore Ritrovato