Edoardo Sanguineti, che dice no all’uso della guerra

«Sono assolutamente contrario alla guerra come strumento per colpire il terrorismo». Edoardo Sanguineti è anche lui frastornato dai fatti delle ultime settimane, da una escalation di violenza che sta portando i popoli del mondo dritti verso il baratro. L’intellettuale marxista è come tutti sconvolto, preoccupato, attento, ora dopo ora, alle notizie che arrivano da due parti opposte del globo. «La difesa della pace è un valore morale irrinunciabile – sottolinea -. Devo però ammettere che in questa fase sono molto, molto pessimista. Non vedo la possibilità di arrestare la macchina di guerra che è stata messa in moto dagli Usa». Il pessimismo di Sanguineti non si trasforma in rassegnazione, ma in lucida analisi di quanto sta avvenendo nel mondo. Dopo l’11 settembre, ammette anche lui, non sarà più come prima. Entrano in crisi le categorie che fin qui avevano aiutato a leggere e capire il reale, il linguaggio a sua volta registra confusioni e spostamenti di forma e di significato che parlano di una situazione in totale mutazione. Niente di meglio che parlarne con Sanguineti, che al tema ha dedicato molti dei suoi saggi, compreso il fondamentale testo “Ideologia e linguaggio”, di recente ripubblicato da Feltrinelli. Dopo il crollo delle Twin Towers è come se anche il linguaggio avesse subito un attacco, un crollo nella sua capacità di identificare con chiarezza la realtà. C’è un primo fatto da non sottovalutare, che riguarda la percezione collettiva dell’evento. Siamo tutti preoccupati non solo per la difficoltà di capire quanto sta avvenendo, ma anche perché creano angoscia gli sviluppi ulteriori della situazione internazionale. Non siamo davanti a un fatto concluso, su cui riflettere, ma davanti a una realtà in divenire, i cui esiti si preannunciano lontani e molto pesanti. E’ però vero che a complicare ulteriormente la questione si aggiunge il linguaggio, la difficoltà da parte di tutti a trovare le parole adeguate. L’uso che si fa sia della parola “guerra” sia di “terrorismo” è assai impreciso. Prendiamo il primo dei due termini. Se usato, provoca delle conseguenze a livello del diritto internazionale, chiamando decisioni molto diverse da quelle che si avrebbero con l’uso di un altro linguaggio. Anche quando si parla di solidarietà con gli Usa, non si capiscono mai bene con esattezza i termini con cui si andrà a esplicare da parte dei diversi governi, soprattutto di quelli che non appartengono alla Nato. Quali le ragioni che spiegano questa difficoltà? Direi che si possono fare due tipi di considerazione. Da un lato è da tener presente che quando parliamo del linguaggio dobbiamo sempre riflettere sull’uso che viene fatto delle parole e delle immagini. Il linguaggio implica comunque un’ideologia, che ne determina il senso. E’ però vero, dall’altro lato, che dopo l’11 settembre niente è più come prima, comprese le parole e le categorie di cui prima ci servivamo. Se appunto prima la guerra era tra due stati che avevano un territorio definito, adesso è contro un terrorista difatto anonimo, perché lo stesso bin Laden pur chiamando alle crociate contro gli Usa, non ha rivendicato l’attentato al cuore di Manhattan e al Pentagono. La stessa frase di Bush, «O con noi o contro di noi», in origine si trova nel Vangelo, ma non certo con un significato bellico, di morte. Quando si ricorre così diffusamente a metafore prese a prestito dalla religione vuol dire che siamo in una fase di grande difficoltà. Sulla Stampa di ieri, Pierluigi Battista, faceva un elenco di parole “uccise” dopo l’attentato, tra cui globalizzazione, turismo, multiculturalismo, privacy, capitalismo popolare. In sintesi verrebbe spazzato via l’ottimismo sulle sorti progressive del mondo alimentato dall’ideologia neoliberista. Con le torri crollano molte certezze indotte. E’ un importante elemento su cui riflettere. Sicuramente dopo l’11 settembre cambia l’idea di un esito ottimistico e irreversibile del capitalismo. Certe parole se ancora non sono morte, certo stanno tramontando. Prendiamo ancora una volta il caso di bin Laden. Non solo le tecniche di cui si serve sono altamente sofisticate e globali, ma la sua azione implica uno sfondo economico che investe tutto il mercato capitalistico: dal riciclaggio del denaro, alla droga, alla vendita delle armi. E’ quindi vero che una certa immagine del capitalismo è in crisi, ma avviene per implosione del realizzarsi stesso della globalizzazione. La percezione degli eventi delle ultime settimane è stata fortemente mediata dalla televisione. E’ questo, secondo lei, uno dei fattori che produce allo stesso tempo angoscia e senso di distanza dal possibile tragico sviluppo della situazione? Ci sentiamo allo stesso tempo preoccupati per il pericolo e lontani da questo, come se non toccasse la nostra condizione. La tv ha prodotto un effetto molto complicato. All’inizio l’ossessiva ripetizione del crollo ha determinato un senso di irrealtà. Come bene è già stato detto, non credevamo ai nostri occhi. Il livello di spettacolarizzazione era tale che sembrava di assistere a un film piuttosto che a un fatto vero. Una volta presa coscienza della tragica verità degli eventi, si sono avuti stati d’animo diversi. Oggi prevale un forte senso di preoccupazione, cui probabilmente si cerca di sfuggire allontanando da sé il pericolo. L’alba del 2001 si caratterizza per il sorgere di un contrasto molto netto e grave tra paesi e culture diversi. Dopo le ultime dichiarazioni, da una parte della Chiesa con Ruini, dall’altra di bin Laden che parla di crociate, si profila uno scontro di religione del tutto simile a quello medievale. Quando è finita la seconda guerra mondiale, dopo Hiroshima e Aushwitz, pensavamo di non dover più fare i conti con eventi così tragici e dolorosi. La divisione in blocchi – nonostante l’esistenza dei paesi non allineati e di persone che non appoggiavano né l’Urss, né gli Usa – ci aveva fatto chiudere gli occhi. Speravamo che “l’equilibrio del terrore” creato dalle due superpotenze potesse garantire dal rischio di una distruzione dell’umanità, pure minacciata da quegli stessi paesi. Caduto il blocco socialista, la situazione è notevolmente mutata. Il mondo è spaccato in due, si procede per semplificazioni e in un modo barbarico che rischia di rimandarci indietro di secoli. Ma vedremo, viviamo in giorni, ore decisivi.