Costi economici e costi umani, cioè vite che si perdono in un cantiere o in una officina. Sono le morti bianche, gli incidenti sul lavoro il cui numero oscilla di anno in anno tra un punto percentuale in più o
in meno, comunque sempre troppi. Come le malattie professionali, di cui si parla ancor meno anche se aumentano e nel 65% dei casi non vengono riconosciute. Non nelle costruzioni, uno dei settori più a rischio. Nel 2004 l’edilizia ha contato i suoi 286 morti e ci si ferma qui se ci si ferma ai numeri ufficiali, quelli che arrivano agli sportelli Inail. Complessivamente gli infortuni sono stati oltre 104mila. Ma il settore è una gerarchia di appalti e subappalti e gli ultimi si dissolvono nel lavoro sommerso che in quanto tale si nega alle statistiche ufficiali. La Fillea Cgil, in congresso a Pesaro, parte da questa premessa per dare i suoi numeri, monitorati quotidianamente e riportati sul proprio sito web. Un monitoraggio diretto, attraverso segnalazioni dai territori, ma necessariamente parziale: il totale di 191 morti registrati nel 2005 sarà sicuramente superato dalle cifre che verranno date dall’Inail. La parzialità tuttavia non è solo delle rilevazioni del sindacato. Tutti i dati da chiunque forniti non tengono conto degli infortuni che passano «sotto silenzio», poiché le vittime sono spesso lavoratori «irregolari», fantasmi per ogni censimento. «Non vogliamo alimentare la polemica sulle statistiche – ha spiegato il segretario generale della Fillea, Franco Martini – ma ci preoccupa la vastissima area del sommerso, fonti di grave inadempienze ed evasione delle norme antinfortunistiche che nelle costruzioni arriva a punte del 50%».
Una tendenza però è acclarata: tra le vittime sono in crescita gli stranieri. Il monitoraggio della Fillea dice che nel 2005 su 191 morti 36 erano immigrati, il 19%, quasi una su cinque. Il dato rileva come stia cambiando la composizione della forza lavoro. Gli stessi dati, in aderenza a quelli diffusi dall’Inail, raccontano di un aumento della gravità degli infortuni, nelle microimprese più che in quelle grandi: 4,9 denunce su 100 hanno avuto conseguenze di menomazioni permamenti (Inail). Per Martini «è il segno di un imbarbarimento delle condizioni di lavoro. Per questo -annuncia- la tutela della sicurezza sarà ancora una battaglia prioritaria per la Fillea».
Il costo economico (o sociale) di questa «guerra dimenticata» è complessivamente di 28 miliardi di euro e di 17 milioni di giornate lavorative perse. Circa tre punti di Pil. La fetta che in proporzione viene assegnata all’edilizia è pari a 3 miliardi di euro, ma è decisamente sottostimata perché nelle costruzioni gli infortuni sono molto più gravi rispetto alla media. Per avere un idea: la causa di infortunio maggiore resta la caduta dall’alto. Quasi il 42% dei decessi rilevati dalla Fillea si deve a questo. Seguono gli incidenti con carrelli elevatori o ruspe (25,13%), i crolli di strutture (10%) le folgorazioni (9,42%) e altre cause. I mesi più neri sono luglio, settembre, ottobre. Colpisce poi che l’11,4% degli incidenti avvenga il primo giorno di lavoro: in realtà si tratta spessissimo di lavoratori che vengono regolarizzati solo a infortunio avvenuto. La geografia conferma che le regioni in cui si muore di più sono la Lombardia (29 morti, 9 gli immigrati) e il Lazio (20 morti, 5 immigrati). Dei 191 morti, anche due ragazzi di 17 anni.