Rafael Correa, il candidato che si opponeva nel ballottaggio di domenica al miliardario bananero Alvaro Noboa, filo-liberomercato e filo-Bush, sembra avviato a una vittoria a valanga. Ieri, quando erano stati scrutinati circa le metà dei voti, conduceva con il 68.1% contro il 31.8% del suo avversario. Che però ha rifiutato finora di riconoscere la sconfitta. Un dato è però già incontrovertibile, in attesa del risultato finale annunciato per oggi o domani, come ha subito rilevato Correa: «Il voto mostra che il popolo vuole un cambio». Il «popolo» che non ha incertezze, e sente di avere già vinto fin dai primi minuti dopo la chiusura dei seggi.
Ore 17 di domenica, Quito è con il fiato sospeso. Si chiudono i seggi e tutto il paese è incollato alla televisione, in balia degli exit poll. Rafael Correa, candidato di sinistra per Alianza Pais batte il neo-liberista Alvaro Noboa con un margine che cresce a vista d’occhio. Dopo un’ora è già al 57% contro il 43%, 14 punti , contro gli 8 indicati dai sondaggi alla vigilia. E con lo spoglio che avanza, il margine aumenta: ieri erano quasi 36. Per le strade della città si sente la radio che continua ad aggiornare. La più infervorata è Radio La Luna, quella che nel maggio 2005 giocò un ruolo fondamentale nel dirigere le mobilitazioni dei forajidos, gli sconvolti che cacciarono il presidente Lucio Gutierrez, eletto a sinistra e passato a destra. La gente ascolta attonita, incredula: «Hemos ganado», abbiamo vinto.
Stando ai risultati finora disponibili, Rafael Correa ha vinto non solo qui a Quito e nelle regioni andine, dove aveva già sfondato nella primo turno di ottobre. Ha avuto un ottimo risultato anche nelle regioni «storicamente» di Noboa, come la costa e la città di Guayaquil, arrivandogli a ruota. E la sorpresa viene dalla Amazzonia, l’oriente ricco del petrolio ecuadoriano, dove Correa ha stravinto. Qualcosa di impensabile fino a un mese fa, quando al primo turno Gilmar Gutierrez, il fratello dell’ex presidente Lucio Gutierrez, aveva sbancato in questa regione e aveva poi espresso il suo appoggio per Noboa nel ballottaggio. Ma non è ancora finita. Perché se tre delle quattro compagnie di sondaggi danno tutte Correa vincitore la quarta, Consultar, si ostina a dare la vittoria a Noboa con il 42%. Guarda caso è l’impresa finanziata dal Grupo Noboa, a cui il miliardario si aggrappa dicendo che rifiuta questi primi risultati e che richiederà se necessario il riconteggio di tutti i voti.
Solo due ore dopo la chiusura delle urne, una gran folla è già radunata davanti alla sede del partito di Correa , dove è stato montato un grande palco con i musicisti in maglietta verde, il colore di Alianza Pais. Un motivetto è sulla bocca di tutti: «Porqué hoydia el pueblo no quiere ser manejado como hacienda bananera». Il popolo dell’Ecuador vuole il cambio e non vuole più essere gestito come un’azienda di banane tipo quelle del bananero Noboa. In una prima conferenza stampa poco dopo la chiusura delle urne, Rafael Correa dice che è cominciata la liberazione dagli ultimi 20 anni di catastrofica gestione neo-liberista e che lui si riconosce appieno in quella corrente politico-economica di alternativa al neo-liberismo che sta cambiando l’ America latina.
Nel suo programma politico, Correa presenta aspetti radicalmente progressisti ed altri più moderati. Sembra andarsi ad aggiungere a Venezuela e Bolivia, rifiutando il trattato di libero scambio in discussione con gli Usa e il rinnovo del contratto di cessione agli americani della base militare di Manta. Rafael Correa è un economista di formazione, in precedenza è stato consigliere economico del presidente Alfredo Palacio, quando questi era vicepresidente di Gutierrez, e poi suo ministro dell’economia e delle finanze, quando Palacio divenne presidente. Rinunciò però all’incarico dopo quattro mesi, per screzi con la gestione di Palacio. Da sempre si definisce oppositore degli organismi multilaterali come la Banca mondiale e il Fondo monetario, in favore di una maggiore partecipazione dello stato nella gestione del petrolio.
Nato a Guayaquil 43 anni fa, ha studiato in Belgio e negli Stati uniti. Prima di essere ministro ha sempre lavorato in ambito universitario scrivendo libri sulla dollarizzazione (l’Ecuador dal 2000 ha sostituito il sucre con il dollaro), sul libero scambio e sul commercio delle banane.
Euforia, dunque qui a Quito, ma anche prudenza e nessuna cambiale in bianco. Una cosa, dicono in molti che sono scesi in strada, è la propaganda elettorale, un’altra è la pratica di governo. Viste le esperienze recenti un giovane del movimento studentesco, Pablo Campagna, non nasconde il timore «che anche Correa tradisca il voto e gli impegni, come ha fatto Lucio Gutierrez». I movimenti sociali, popolari ed indigeni, che hanno fatto vincere Gutierrez nel 2004 e Correa nel 2006, sono ancora scottati da questa esperienza. Però, aggiunge, «le circostanze sono diverse ed abbiamo fiducia e non andrà così: ma se non onora quel che ha promesso, faremo saltare anche lui».
Il compito di Correa non sarà facile, avendo rinunciato a presentare candidati al Congresso e trovandosi di fronte quindi un parlamento prevalentemente ostile. Che però lui dice voler cambiare, come Morales in Bolivia, attraverso una assemblea costituente. All’euforia che si respira a Quito, fa riscontro la depressione di Wall Street: ieri i titoli del debito ecuadoriano sono caduti del 2.8%.